“Non ci potrà mai essere un’Europa stabilmente in pace, senza pace nel Mediterraneo”. Ne è convinto il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, che ha usato questa metafora per lanciare l’incontro di riflessione e spiritualità per la pace nel Mediterraneo, che dal 19 al 23 febbraio prossimi vedrà radunati a Bari vescovi provenienti da tre continenti: Europa, Asia Africa. Ne parliamo con mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale, vicepresidente della Cei e coordinatore del Comitato organizzativo.
Abbiamo già fatto gli inviti ufficiali ai capi delle Conferenze episcopali, o assimilati, dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Spetta ora a ciascuno di loro scegliere i membri della loro delegazione, che variano da tre a cinque membri, a seconda della grandezza. A questo elenco vanno aggiunti i membri del Ccee, della Comece e alcuni membri dei dicasteri della Santa Sede indicati dalla Segreteria di Stato e della Nunziatura apostolica in Italia. Proprio in questi giorni, inoltre,
abbiamo inviato una sorta di “canovaccio” dell’Instrumentum laboris,
che è stato elaborato dal Comitato organizzativo. L’auspicio è che tutti diano il proprio contributo nella scelta e nell’approfondimento dei temi e del metodo da adottare a Bari. Nel “canovaccio” si spiega qual è l’intento della Conferenza episcopale italiana, che invita e organizza, e si indicano alcune tematiche e metodologie su cui confrontarsi che sono sembrate più attuali. Vorremmo che ciascuno ci dicesse, entro metà ottobre, se queste proposte – corredate anche da un questionario – vanno bene o se ne devono aggiungere altre. Gli ulteriori contributi dei destinatari verranno poi raccolti tra ottobre e novembre, in modo da avere in quadro generale e da elaborare l’Instrumentum laboris entro febbraio 2020.
Come si articoleranno le giornate di Bari?
Mercoledì pomeriggio, dopo l’introduzione del cardinale presidente, verrà presentato il “canovaccio”, che poi sarà oggetto del confronto nelle sessioni di dei giorni seguenti.
A partire dallo “stato dell’arte” che emergerà dalle risposte alla griglia di domande sulla vita pastorale delle diocesi, si dibatterà anche del rapporto con la società civile e con i governi, in particolar modo su alcuni problemi sociali più ampi e scottanti: dalle migrazioni alle disuguaglianze economiche, dai cambiamenti climatici al mondo del lavoro, dal dialogo ecumenico e interreligioso alla scuola e alla cultura.
I lavori si svolgeranno a “porte chiuse”. È prevista una sola sessione pubblica, probabilmente sabato pomeriggio al Teatro Petruzzelli, con un momento di dibattito politico-istituzionale a cui saranno invitati a partecipare ad una tavola rotonda i vertici europei ed internazionali. Domenica, infine, è la giornata del Santo Padre, che nella prima parte incontrerà noi partecipanti e nella seconda celebrerà la Messa in città, aperta a tutti.
Anche se non ancora ufficialmente, la presenza del Papa è stata confermata dalle sue parole.
Sì, è stato lui a manifestare l’intenzione di venire a Bari. Del resto, il tema del Mediterraneo – come ha dimostrato di recente anche a Napoli – è un tema a lui molto caro. Quanto al metodo, nel discorso che ha tenuto all’assemblea Cei di maggio il Papa ha raccomandato la sinodalità come modo di essere di tutto il popolo di Dio, di cui la collegialità è una forma specifica che riguarda l’esercizio del ministero episcopale. A Bari, in sintonia con le indicazioni del Santo Padre, vogliamo creare un modello mentale condiviso, per dare il nostro contributo ad alcuni problemi che ci interpellano più da vicino, ma anche dare nuova spinta all’evangelizzazione, al processo di pace, alla trasmissione della fede, con tutte le sue difficoltà. Un messaggio, quello che parte da Bari, che intende coinvolgere non solo la comunità ecclesiale, ma l’intera società.
Il Papa, a Napoli, ha delineato una “teologia dell’accoglienza” che consiste nell’avviare processi e nell’adottare il dialogo come metodo. E’ questa la “teologia del Mediterraneo”?
Il dialogo è la parola-chiave, e la necessità più urgente è quella di trovare un metodo di dialogare. A Napoli il Papa parlava di teologia, come servizio alla vita della Chiesa: lo spunto per fare teologia, per pensare la fede e renderla più consapevole per il popolo di Dio, secondo Papa Francesco non viene soltanto all’adattare la teologia o la tradizione dottrinale della Chiesa conservata in formule, ma dall’esperienza, dalla capacità di entrare in contatto con al vita cristiana nei vari ambiti e territori. In questo modo la teologia si può lasciare interrogare, può “fare rete” con la concretezza della vita cristiana e così intercettare le sfide della società.
Il Mediterraneo può essere un luogo di guerre o di voglia di unità, un luogo dove le migrazioni vengono associate alla ricerca della propria dignità oppure al contrario un luogo in i diritti umani vengono calpestati o derisi. Un mare di morte o un ponte di accoglienza.
È a partire da questo che la teologia deve interrogarsi. C’è una grande sintonia tra quella che il Papa a Napoli ha definito “teologia in contesto” e l’impostazione del nostro incontro: se parte dal basso, dalla vita realmente vissuta, la teologia può andare più a fondo per riflettere sulla sua missione, altrimenti rimane staccata dalla società e dalla vita concreta delle parrocchie. Questo non vuol dire che la teologia debba diventare catechesi, ma che deve essere disponibile a ricevere un grande impulso dal vissuto concreto della gente. Il primo imperativo, allora, come raccomanda il Papa è l’ascolto.