Un libro per riscoprire un modo di pregare incentrato sul fascino sacro della iterazione e i modi di applicarlo nella nostra frettolosa vita di tutti i giorni
A tutti i “minatori” del cuore,
a quelli con la lampada
e a quelli senza.
Un’antica storia, un minatore che pensa di poter tornare in superficie anche senza la sua vecchia lampada parla a tutti noi di un cammino. Un racconto di Chesterton, “Le avventure di un uomo vivo”, narra di un tizio che abbandona la sua casa per tornarci furtivamente, “perché non poteva più sopportare d’esserne lontano”: siamo stati per un lungo tempo alla ricerca di qualcosa che era già stato nostro, alla mercé di una ragione assolutizzata che timbrava come fanatismo ogni devozione popolare. È quello che viene in mente dopo la lettura di “50 grani di cielo. Riscoprire il Rosario” di Stefano Proietti (EDB, 2019, 54 pagine, con una prefazione di mons. Stefano Russo).
Questo libro riprende antichi sentieri, di cui sentivamo una profonda nostalgia senza accorgercene: invita a vedere i piccoli gesti come le preghiere dette in privato o insieme ad altri come momenti nobili del nostro giorno, perché ci danno la possibilità di attraversare i limiti tra materia e spirito. Il rosario per Proietti non è una ripetizione di suoni fine a se stessa: è un veicolo, come una lanterna in miniera, o le scarpe da corsa, o una cyclette per chi deve fare sport, per il nostro spirito, il quale ha solo bisogno di un allenamento per riprendere fiato dopo un lungo tempo di materialismo scientista e di edonismo. Pensavamo che solo ciò che si tocca e si vede potesse essere vero, quando anche la scienza ci diceva che quella che chiamiamo realtà è assai più complessa di quello che i maestri di sventure andavano predicando. Heisenberg, premio Nobel nel 1932 per la fisica, era anche un uomo profondamente religioso. La musica dell’universo e della natura ci affascina a parole, ma ci mettiamo le cuffiette per passeggiare in mezzo ai boschi. Lo spettacolo vivo del mare mosso dal vento viene annullato dalla fissità del selfie. Perdiamo gli attimi pensando di fare cose più importanti. “50 grani di cielo” ha questo potere: ci aiuta a tornare. La ripetitività del Rosario è una compagnia di voci umane che parlano con l’Altro, che cercano di riscoprire non solo i dogmi, ma l’umanità diversa di Maria. La musica, lo sappiamo, è sempre stata importante, perché è una sorta di accompagnamento dei nostri passi terreni. Il Rosario fa parte di questa comunicazione quasi sonora, e d’altronde le canzoni stesse hanno strofe ripetitive e motivi che tornano con una certa frequenza. Anche quando si sta in silenzio, o si viaggia, o si fa sport solitario, il Rosario può essere, come chiosa acutamente l’autore, “la colonna sonora del silenzio”. Ma non solo questo. Il fatto è che l’abbandonarsi ad una frequenza sonora significa anche riflettere in profondità, talvolta senza che ce ne accorgiamo fino in fondo, sulla femminilità di Maria, sulla sua capacità di intercessione e di compassione profonda. Compassione significa etimologicamente soffrire con, e questo aiuta in un occidente in cui la pietà sta diventando un optional per pochi fissati
. La sofferenza della Madre dovrebbe aiutarci a capire che non è un dialogo con una sfinge lontana e insensibile. Quella litanìa o quella iterazione di suoni che creano un tappeto invisibile nel quale si perdono i nostri pensieri non è semplicemente una tradizione: la musica esiste proprio per suggerire stati d’animo inesprimibili. Il pensiero del dolore condiviso, dice l’autore, si incontra con quello dei misteri ma anche con quello dei nostri cari che ci hanno lasciato. Merito di questo libro è proprio la sua capacità di riscoprire un modo di pregare, incentrato sul fascino sacro della iterazione e nel contempo di suggerire i modi di applicarlo nella nostra frettolosa vita di tutti i giorni. Uno spazio per mettersi in ascolto e nel contempo per chiedere l’intercessione di una Madre che ha conosciuto una sofferenza abissale e che per questo può capire quella dei suoi vecchi e nuovi figli .