Dovevano essere le prime elezioni realmente incerte da quasi 15 anni a questa parte. Il primo turno delle elezioni presidenziali in Bolivia, svoltosi domenica, lo ha confermato. Evo Morales, presidente uscente e alla caccia del quarto mandato consecutivo, pur avendo ottenuto il primo posto, dovrà probabilmente sudarsi la conferma nel ballottaggio del prossimo 15 dicembre. Quando il conteggio rapido è giunto al 90%, Morales ha circa il 45% dei voti. Il suo oppositore, Carlos Mesa, già presidente della Repubblica tra il 2003 e il 2005, ha circa il 37%. Per vincere al primo turno, come aveva già fatto nelle precedenti tornate elettorali, Morales deve ottenere due risultati: superare il 40%, ma anche distanziare il secondo classificato di almeno dieci punti. Invece, il voto dei boliviani si è polarizzato. Mesa ha già esultato per il raggiunto ballottaggio. Morales ha sottolineato la vittoria del suo partito, il Movimento per il socialismo (Mas) e ha detto di confidare che il suo vantaggio aumenti quando arriveranno i risultati degli ultimi seggi di località rurali, così da evitare il secondo turno. Qualche stranezza, polemica e denuncia c’è stata, intanto, durante le operazioni di scrutinio. Insomma, la prudenza è d’obbligo.
Se ballottaggio sarà, non inganni l’attuale distacco tra i due contendenti. Si tratterà, in pratica, il secondo referendum secco sul politico che ha dominato in Bolivia a partire dal 2006. Il primo, quello sulla modifica della Costituzione per consentirgli l’ennesima candidatura, Evo lo ha perso al fotofinish. Nel 2016 boliviani gli avevano recapitato un avviso di sfratto, che il Presidente non ha voluto ascoltare. Ora rischia di avere tutti contro, come confermano gli appoggi a Mesa già pervenuti dalla maggior parte degli altri candidati sconfitti. Tra questi la grande sorpresa del pastore evangelico di origine coreana Chi Hyun Chung, che ha superato l’8%, presentando proposte simili a quelle di Bolsonaro.
Il motivo di questo clima ci porta al “macigno” che ha di fatto influenzato la vita politica boliviana degli ultimi anni, e cioè la ricandidatura di Morales per un quarto mandato, nonostante la Costituzione non lo prevedesse, in seguito a una sentenza della Corte Costituzionale che ha in pratica disatteso l’esito clamoroso del referendum del 2016. La gente, insomma, ha avuto l’impressione che il proprio voto non contasse. La Fondazione Jubileo, emanazione della Chiesa boliviana, assieme ad alcune università, prosegue padre Fuentes, “ha promosso dei sondaggi e ha formato un gruppo di osservatori presenti ai seggi per vigilare sulla regolarità del voto. Tremila persone si sono formate per questo scopo”. Il segretario della Ceb sottolinea la “grande unità dei vescovi”, che hanno manifestato in più occasioni forti critiche a Morales, proprio e soprattutto per la scelta di ricandidarsi: “Pare che il suo unico obiettivo sia quello di restare al potere. In alcuni casi, ha attuato politiche che poco hanno a che vedere con la sinistra, basi pensare al progetto del passaggio di un’autostrada nella zona protetta del Tipnis. Al tempo, stesso, va detto che l’opposizione non si è subito trovata d’accordo su un progetto alternativo, ma si è divisa in protagonismi personali”.
Tira una brutta aria, insomma per il leader socialista, una delle poche bandiere rimaste dell’izquierda che ha governato nel Sudamerica lo scorso decennio. Ma l’esito del ballottaggio resta incerto, anche perché Morales, al di là delle critiche, può vantare numeri macroeconomici a lui favorevoli: la scorsa settimana il Fondo monetario ha stimato una crescita del Pil, nel 2019, del 3,9%, mentre per l’Istituto nazionale di statistica la povertà estrema, tra il 2005 e il 2018, è passata dal 38 al 15%, quella rurale dal 63 al 32 %.