“Il Sinodo porta la sua attenzione sugli abusi, sullo sfruttamento delle donne e sulla tratta degli esseri umani”, ha testimoniato la religiosa: “è un modo per dare visibilità a questa realtà. Noi lavoriamo nella Chiesa per la sensibilizzazione a questa realtà”. In Brasile, ha raccontato suor Roselei, “la tratta è un delitto molto invisibile e poco notificato, legato allo sfruttamento sessuale delle bambine e delle donne e in particolare alla questione della servitù domestica: le bambine indigene vengono ospitate nelle case per farle studiare, ma in realtà finiscono per essere sfruttate sessualmente e diventano vittime del lavoro infantile più schiavo”. Quello di “Un grido per la vita” è dunque “un lavoro di sensibilizzazione e formazione delle persone, affinché siamo in grado di denunciare la realtà di cui sono vittime. Molte donne non hanno il coraggio, perché si tratta di un reato che toglie loro la dignità.
Così finiscono per cadere in una trappola: quando prendono coscienza del loro sfruttamento, perdono la dignità e non riescono a denunciare.
Parallelamente c’è il traffico della droga”. “Il nostro è un lavoro di sensibilizzazione delle donne e delle bambine perché riconoscano le forme di abuso e sfruttamento”, ha spiegato la religiosa soffermandosi sull’importanza del lavoro in rete, ad esempio nelle parrocchie: “Quando le persone sono informate, cominciano a sospettare quello che potrebbe essere un caso di tratta e fanno la denuncia”. “Allertare i giovani su quanto grandi siano le reti di adescamento, la più grande delle quali sono i social”, l’appello di suor Roselei: “La Chiesa deve continuare a svolgere un ruolo di prevenzione e anche di presenza politica, nei luoghi dove possiamo arrivare”.