“Il celibato è la grande bellezza della vita di un sacerdote, che però va coltivato perché è un tesoro che coltiviamo in vasi di argilla”. Il card. Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il clero, ha usato una metafora dai toni cinematografici, che riecheggia il titolo del celeberrimo film di Paolo Sorrentino, per descrivere ai giornalisti il celibato come “dono di Dio, che va accolto”. “Io dico sempre ai vescovi: ‘formate bene i sacerdoti, siate molto vigilanti anche sugli aspetti umani della persona’”, ha rivelato Stella durante il briefing di ieri sul Sinodo per l’Amazzonia. “La Chiesa è rimasta l’unica istituzione che predica un impegno per sempre: per i sacerdoti, la vita consacrata e il matrimonio”, ha ricordato il porporato.
“Il dono del celibato – ha precisato Stella entrando nel dettaglio – rappresenta oggi per i giovani e anche per i sacerdoti una grande sfida personale, che si deve assumere con grande coscienza interiore dopo un tempo di addestramento e di formazione personale”. “Preghiera, disciplina e impegno personale”: sono questi, secondo il prefetto, i tre requisiti che fanno sì che “il celibato si possa vivere, ma consapevoli che viviamo in un mondo che non lo assume come un valore”.
“Dobbiamo parlare ai giovani e presentare le esigenze del sacerdozio latino come grande impegno e grande bellezza”, l’invito del porporato: “è una vocazione, che per essere accolta, oltre che della preparazione in un contesto di grande qualità umana, ha bisogno dell’equilibrio di una mente sana e di una affettività trasparente”.
“Prendere tempo”.
È questa, secondo Stella, l’indicazione di marcia sulla questione del “rito amazzonico”, proposta emersa al Sinodo già nelle Congregazioni generali e poi dibattuta nei Circoli minori. Il cardinale ha definito il dibattito sul rito amazzonico “una bella pagina” e ha commentato: “È naturale che dal Sinodo venga questa iniziativa: i popoli amazzonici sentono la necessità di poter comunicare con la loro lingua, i loro simboli e la loro ritualità locale. L’Amazzonia è una realtà plurietnica, plurilinguistica, composta da centinaia di etnie e centinaia di lingue. C’è un’aspettativa in questa materia e anche una necessità concreta: vedremo cosa dirà il Sinodo”. La proposta emersa dall’aula è quella di promuovere un rito amazzonico sotto il profilo “liturgico, disciplinare e teologico”. “Bisogna analizzare, approfondire, prendere tempo”, ha commentato Stella: “I riti esprimo la spiritualità e le aspettative dei popoli. Se ci sarà un cenno o alcuni paragrafi relativi a questa materia, bisognerà riprenderli e lavorarci molto”. “Vogliamo poter esprimere la nostra fede nella nostra cultura e nella nostra lingua”, ha spiegato Eleazar López Hernández, esperto in teologia india, sacerdote indigeno cattolico appartenente al popolo Zapoteca e membro del Centro nazionale di aiuto alle missioni indigene: “La Chiesa ha bisogno di generare volti specifici nei quali arrivi una proposta cristiana, secondo il famoso motto latino: quello che si riceve, si riceve secondo i modi del ricevente. La Chiesa è plurale, non monocorde, e multiculturale. C’è bisogno di riti adeguati ai nostri popoli, per tutti i popoli indigeni e tutti i popoli latinoamericani”.
“Noi già celebriamo partendo dalla nostra spiritualità, viviamo le nostre celebrazioni portando i nostri simboli”,
ha testimoniato suor Mariluce dos Santos Mesquita, salesiana e appartenente all’etnia Barassana: “Papa Francesco sta ascoltando e proponendo di riconoscere, di approfondire di più la spiritualità indigena interagendo con la Parola di Dio, che noi già predichiamo”. “Abbiamo i nostri riti, ma vanno integrati con Gesù Cristo”, ha osservato Delio Siticonatzi Camaiteri, membro del popolo Ashaninca, gruppo etnico amazzonico: “La cosmovisione è il nostro modo di guardare il mondo: la natura ci avvicina di più a Dio”.
“Non siamo qui come se ci fosse una lista di desideri,
o decisioni che devono essere prese nella direzione che io o altre persone possano desiderare”. Così mons. Alberto Taveira Corrêa, arcivescovo di Belém do Pará, in Brasile, ha risposto alla domanda di un giornalista sulle aspettative riguardo al Sinodo per l’Amazzonia e sulla presenza di eventuali “delusioni”, ora che siamo ormai quasi giunti al termine. “Siamo qui per fare un cammino insieme – ha ricordato il vescovo – e cerchiamo di metterlo nelle mani del Santo Padre”. “Sono molto fiducioso, nutro grandi speranze”, ha aggiunto: “Non sappiamo dire come sarà il documento, aspettiamo sabato sera, ma nutro grandi aspettative. Durante queste tre settimane di lavoro ci sono stati dialoghi tutti di grande ricchezza”. Il documento finale del Sinodo sarà votato punto per punto a partire da sabato pomeriggio. Per ottenere l’approvazione è necessaria la maggioranza qualificata di due terzi di votanti. Poi spetterà al Santo Padre, a cui sarà consegnato il testo, l’ultima parola su cosa farne.
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