Pubblichiamo la lettera della Caritas Diocesana
DIOCESI – Quando il Vangelo non scivola sopra la vita, ma viene preso sul serio, fa pensare, riflettere, cambiare mentalità e atteggiamenti. Ad esempio la parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro, mentre si avvicina la festa dei santi e la commemorazione dei defunti, ci porta ad interrogarci se dietro ai lumini accesi e ai fiori freschi con cui orniamo le tombe dei nostri cimiteri, c’è ancora la prospettiva dell’eternità. La verifica che crediamo davvero in Cristo morto e risorto, possibilità di vita indistruttibile per l’umanità, è presto fatta dal tipo di relazioni che abbiamo con i poveri. Il vangelo infatti insegna chiaramente che il nostro destino si decide in base all’atteggiamento che abbiamo avuto nei confronti di quelle persone che ormai vengono considerate dalla mentalità comune uno ‘scarto’, ma per i cristiani presenza costante di Gesù nel tempo.
Se il ricco del Vangelo non prende a calci il povero Lazzaro, né gli impedisce di nutrirsi delle briciole che cadono dalla sua tavola, ma ha soltanto la colpa di non vederlo, dell’indifferenza, noi invece siamo andati oltre: li cacciamo da ogni ambiente, non sopportiamo più la loro presenza, non li vogliamo proprio tra i piedi. Così dei fratelli o delle sorelle, a volte semplicemente più sfortunati, sono considerati peggio dei lebbrosi al tempo di Gesù: tenuti lontano dalle città e dagli occhi, perché infettivi, capaci di contagiare con la loro sofferenza. È così vero, che arriviamo a non tollerare nemmeno le case popolari nei nostri quartieri o non sopportiamo che alcuni dormano dentro una tenda, nel giardino della Caritas.
Si arriva a sentire frasi come “prima il decoro, poi l’umano”, dette a volte da gente che, troppo presto, ha dimenticato le proprie origini e quelle degli avi, segnate da umiliazioni e povertà.
Ma cosa si nasconde dentro queste pericolose logiche disumane?
In realtà gli altri ci fanno sempre da specchio e il modo in cui entriamo in relazione svela quello che vorremmo nascondere. Dietro certi atteggiamenti di esclusione ed emarginazione si cela la paura dei propri limiti, perché la povertà di umanità, di spiritualità, di solidarietà è molto più triste di quella materiale o psichica. Così per sentirsi forti si umilia chi è più debole, per affermare il proprio potere si ribadiscono regole e leggi, sempre ‘da rispettare’, almeno per gli altri, dimenticando che non l’uomo fatto per la legge ma la legge fatta per l’uomo. Così si mette da parte quel po’ di umanità, necessaria per costruire una società altra.
Il modo in cui entriamo o meno in relazione con gli altri ci rivela, racconta molto di noi. Solo quando riconosciamo i nostri limiti e le nostre fragilità, che tutti, nessuno escluso, sperimentiamo, riusciamo a tessere relazioni autentiche e fraterne, che danno senso e gusto alla vita. Non servirà a nulla provare ad eliminare i più deboli, solo per sentirci dire che siamo i migliori!
Afferma Papa Francesco nel messaggio per la giornata mondiale del povero che si celebrerà il prossimo 17 novembre 2019: “Si è giunti perfino a teorizzare e realizzare un’architettura ostile in modo da sbarazzarsi della loro presenza anche nelle strade, ultimi luoghi di accoglienza. Vagano da una parte all’altra della città, sperando di ottenere un lavoro, una casa, un affetto… Ogni eventuale possibilità offerta, diventa uno spiraglio di luce; eppure, anche là dove dovrebbe registrarsi almeno la giustizia, spesso si infierisce su di loro con la violenza del sopruso… Si possono costruire tanti muri e sbarrare gli ingressi per illudersi di sentirsi sicuri con le proprie ricchezze a danno di quanti si lasciano fuori. Non sarà così per sempre. Il “giorno del Signore”, come descritto dai profeti (cfr Am 5,18; Is 2-5; Gl 1-3), distruggerà le barriere create tra Paesi e sostituirà l’arroganza di pochi con la solidarietà di tanti… Come scriveva Don Primo Mazzolari: «Il povero è una protesta continua contro le nostre ingiustizie; il povero è una polveriera. Se le dai fuoco, il mondo salta”.
Chissà se nei prossimi giorni, visitando i cimiteri, almeno quanti abbiamo cercato di conservare un po’ del dono della fede, riusciamo a meditare su ciò che ci attende e, magari a riconsiderare quanto ci ha detto Gesù e cioè che proprio i poveri che abbiamo amato ci apriranno le porte del paradiso per poter finalmente baciare il Padre di tutti e riabbracciare quanti non vivono certamente nei sepolcri.
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