“Un Sinodo profetico”. Così mons. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino e presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Cei, definisce il Sinodo per l’Amazzonia che si è appena concluso. “Oggi si parla tanto dell’Amazzonia perché finalmente il mondo, grazie all’iniziativa di Papa Francesco, si è accorto che la deforestazione è una minaccia per tutta l’umanità”. Per mons. Domenico Pompili, vescovo di Rieti e presidente della Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali, le tre settimane di lavori sono state “un viaggio non fisico ma reale all’interno di un continente per noi sconosciuto, che non è tanto il polmone del mondo, ma la prova di quanto la relazione tra l’uomo e l’ambiente sia determinante per il futuro dell’umanità”. “Ciò che mi resta nel cuore – rivela mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto e presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace – è l’immagine di vescovi, pastori, ma anche laici, uomini e donne, tutti uniti intorno a Pietro. È stata un’esperienza di sinodalità in atto”. Ecco il racconto a caldo del Sinodo ad opera dei tre vescovi italiani che vi hanno partecipato.
Parola d’ordine: “conversione”. Un’occasione per scoprire “la bellezza ma anche la drammaticità di un territorio che è vittima di un saccheggio sistematico delle risorse naturali, con il rischio di compromettere non solo l’intero eco-sistema, ma anche la qualità della vita delle persone”. È il ritratto dell’aula sinodale filtrato dal vissuto di mons. Pompili, secondo il quale “al primo posto del Sinodo c’è stato il tema della casa comune” e l’imperativo alla “conversione”, in materia di ecologia integrale, proposta dalla Laudato si’. Dall’Amazzonia ad Amatrice, dove si trova oggi, e alle zone terremotate del Centro Italia, secondo il vescovo, il passo è breve: “Quello che hanno in comune realtà così diverse – spiega – è la scarsa attenzione alla dinamica della natura. In un territorio ‘ballerino’ come l’Italia, facciamo fatica a fare qualcosa di ecosostenibile, anche in questa fase in cui sembra ci si stia avviando alla ricostruzione. In Amazzonia domina la logica spietata delle multinazionali che non si curano delle conseguenze che provocano sul territorio, e quando succede un evento negativo piangono magari per qualche giorno ma ricominciano”.
“Il messaggio ecologico è il vero e unico messaggio del Sinodo”,
la tesi di Pompili, avvalorata dall’invito del Papa, in chiusura, a guardare all’interno percorso sinodale e a non fermarsi sulle “cosette”.
Imparare dalle differenze. Una profezia, quella di Bergoglio, che la comunità ecclesiale fa ancora fatica a recepire, osserva mons. Spreafico, lamentando “la scarsa preoccupazione che si registra ancora, a livello ecclesiale, per la cura del creato e la salvaguardia dell’ambiente”, al centro della Laudato si’. “Il creato soffre, viene violentato quotidianamente”, fa notare il vescovo, nel cui territorio diocesano è inserito uno dei 41 punti più inquinati di interesse nazionale. “Conoscere e capire il bioma dell’Amazzonia, la sua biodiversità, può aiutarci a capire che siamo all’interno di un ecosistema che, con tutte le sue ricchezze e le sue sofferenze, appartiene a tutti gli uomini e a tutte le donne”. Il Sinodo, in altre parole, “ci suggerisce che dobbiamo vivere nelle nostre differenze, ognuno con la sua diversità, ma nello stesso tempo coscienti dell’appartenenza comune al creato”, come la Chiesa italiana sta facendo in ambito ecumenico. “Il patriarca Bartolomeo, come ha ricordato il Papa nel suo discorso di chiusura, ci ha preceduto, e anche il mondo evangelico protestante ha riflettuto su questo tema prima di noi”, osserva Spreafico: “La collaborazione nella responsabilità per il creato è un tema che già unisce i cristiani”.
Donne e diaconi permanenti. “Il ruolo delle donne nella Chiesa va molto oltre il riconoscimento di una funzione”. A commentare uno dei temi più dibattuti del Sinodo per l’Amazzonia è mons. Santoro, che tra i frutti dell’assise che si è appena conclusa cita l’aver appreso come, in Amazzonia, “le donne siano molto presenti e in maniera molto significativa per la vita delle loro comunità”. Vanno in questo senso le proposte, contenute nel documento finale, a favore di ministeri come il lettorato e l’accolitato e la creazione della nuova figura pastorale di donne “dirigenti di comunità”. Tali proposte, secondo Santoro, “rivelano la ricchezza del mondo femminile, ma anche un aspetto di fondo che poteva essere maggiormente sviluppato: c’è una ricchezza delle donne che va molto oltre il riconoscimento di una funzione. Basti pensare, ad esempio, alle catechiste: le donne svolgono questo compito perché lo sentono, lo fanno con amore, con cura, considerano i bambini come figli loro”. Quanto al tema sinodale che ha richiamato maggiormente l’attenzione dei media – la proposta dell’ordinazione sacerdotale dei diaconi permanente, anche sposati –, Santoro fa notare che “non si tratta di laici indigeni, ma di persone che già fanno parte dell’ordine del diaconato, che è il primo livello dell’ordine sacro”. “Ma vista la delicatezza del tema – conclude Santoro – sul documento finale l’ultima parola spetta comunque al Santo Padre”.