Per gestire le situazioni di emergenza in cui sono coinvolte donne vittime di violenza, l’85,8% dei Centri antiviolenza è collegato con una casa rifugio.
È quanto emerge da report “I centri antiviolenza” relativo all’anno 2017 diffuso oggi dall’Istat.
“I Centri antiviolenza – si legge – hanno profili organizzativi diversi sul territorio. Per erogare i servizi, il 68,5% lavora in collaborazione con le reti territoriali antiviolenza. Laddove la rete non esiste, i Centri hanno comunque siglato protocolli bilaterali con i soggetti che si occupano di violenza contro le donne (75,9% dei casi dove non esiste una rete)”.
Stando ai dati diffusi, le professioniste che operano in queste strutture sono 4.403. Di queste, 1.933 (43,9%) sono retribuite mentre 2.470 (56,1%) risultano impegnate esclusivamente in forma volontaria.
“Numerose – spiega l’Istat – sono le figure professionali di cui i Centri si avvalgono: operatrici di accoglienza (89,3%), psicologhe (91,7%), avvocate (94,1%), educatrici (50,2%). Scarsa invece la presenza di mediatrici culturali (28,9%). La maggiore quota di volontarie si riscontra tra le operatrici e le avvocate”.
La formazione è uno degli aspetti qualificanti dei Centri antiviolenza: più di nove su dieci hanno svolto una formazione obbligatoria per le operatrici sulla tematica di genere. Oltre a farsi carico delle donne vittime di violenza, i Centri svolgono attività di informazione e prevenzione all’esterno. Nel 2017, l’81% ha organizzato formazione all’esterno, soprattutto verso gli operatori sociali e sanitari, ma anche verso le forze dell’ordine e gli avvocati, e il 91,7% ha svolto attività d’informazione presso le scuole.