Nei Territori occupati palestinesi è in atto una crisi umanitaria dimenticata, con 2,5 milioni di persone – di cui oltre 1 milione di bambini – che dipendono dagli aiuti per la propria sopravvivenza e 1,9 milioni di persone senza regolare accesso a acqua pulita e servizi igienico sanitari.
Lo denuncia Oxfam Italia, lanciando il nuovo rapporto “Dal fallimento alla giustizia” a 26 anni dalla firma degli accordi di Oslo. “Sino ad oggi il fallimento del ‘processo di pace’, definito nel ’93, ha di fatto consentito una sistematica violazione del diritto internazionale, culminata nell’atroce offensiva su Gaza del 2014, e la negazione dei diritti fondamentali di una buona parte del popolo palestinese, che non è mai stato davvero coinvolto nelle decisioni sul proprio futuro – afferma Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia –. Ancora oggi 2 milioni di persone vivono intrappolate nella Striscia di Gaza, senza nessuna prospettiva. Tutto questo è il risultato di tantissimi errori da ambo le parti e di una politica quasi sempre unilaterale e imposta dall’alto, che ha portato alla paralisi dell’economia palestinese, al quadruplicarsi del numero di coloni negli insediamenti israeliani illegali (passati dai 116.300 del 1993 ai 427.800 attuali, escludendo Gerusalemme est) e alla cronicizzazione di un’occupazione che dura ormai da 52 anni senza nessuna reale prospettiva di pace per i palestinesi, gli israeliani e l’intera regione. Palestinesi e israeliani sono rimasti bloccati in un limbo che dura ormai da 26 anni e deve finire al più presto”. In questo contesto Oxfam lancia un appello alla comunità internazionale, affinché non si ripetano gli stessi errori del passato e si dia il via ad un nuovo e concreto processo di pace. “La comunità internazionale ha una grandissima responsabilità per il fallimento del processo di pace – aggiunge Pezzati –. Per questo oggi non può restare ancora inerte e consentire che palestinesi e israeliani debbano sopportare il peso e gli effetti disastrosi di altri due decenni di false promesse e di un processo di pace che non è mai iniziato davvero. È necessario che ogni nuovo negoziato preveda prima di tutto il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale, venga monitorato da terzi, preveda tempi chiari e certi, garantendo un progressivo processo di inclusione delle tante donne e giovani che vivono ai margini nei territori occupati palestinesi”.