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DIOCESI – Pubblichiamo la seconda parte della lettera pastorale “Con Cristo in missione nel mondo”, per l’anno 2019/2020, del Vescovo della Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, Mons. Carlo Bresciani.
Testimoni di Gesù: l’esempio di Paolo
«Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato.Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo.
Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io» (1Cor 9, 16-23).
Paolo è il modello del missionario che accogliendo il mandato del Signore Gesù porta il Vangelo a tutti, dedicando tutta la sua vita.
Egli sa bene che c’è un solo «Vangelo» (cfr. Gal 1, 6-8; 2Cor 11, 4), quello di Gesù, predicato da tutti gli Apostoli (cfr. 1Cor 15, 11), al servizio del quale ha scelto di stare anche lui (cfr. Rom 1, 1; 1Cor 1, 17; Gal 1, 15s). Può parlare di un «suo» Vangelo (cfr. Rom 3, 16; 2Cor 4,3), perché lo sente ‘suo’, l’ha fatto il motivo della sua vita: non annuncia solo qualcosa che ha sentito, ma qualcosa che vive in prima persona. Quando parla di “verità del Vangelo”(Gal 2, 5.14) è perché lui ha sperimentato questa verità.
Paolo non concepisce se stesso se non in funzione della missione ricevuta: «schiavo di Cristo,… scelto per annunciare il Vangelo di Dio» (Rom 1,1). «Infatti, annunziare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1Cor 9, 16). Non lo fa perché deve obbedire a un comando, e quindi di malavoglia sentendosene oppresso.
Ne abbiamo conferma in alcune espressioni giustamente rimaste famose: «Per me vivere è Cristo e morire un guadagno» (Fil 1, 21) e «non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2, 20).
Da questa convinzione trae impressionante energia: «Io infatti non mi vergogno del Vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede» (Rom 1, 16). Anzi, per esso soffre (cfr. Col 1, 26), lotta (Col 1, 29 e 2,1), anche nella prigionia (cfr. Col 4, 3.10.18). Le difficoltà e le persecuzioni non lo fermano.
Dalla convinzione di essere stato scelto e dal suo grande amore per Cristo e per la Chiesa, anche se ormai ridotto in catene, trae tutta la sua felicità: «Sono stato incaricato della difesa del Vangelo… purché in ogni maniera… Cristo venga annunciato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene» (Fil 1, 16.18) ed esorta anche i fedeli a stare lieti nel Signore (Fil 3,1) in ogni circostanza.
Si può, dunque, affermare che Paolo vive la sua fede in Gesù come testimonianza di vita vissuta, prima ancora che di parola.
Soltanto la vita di chi vive di Cristo è capace di generare la Vita in altre sue membra. Paolo sa che la sua salvezza dipende dall’amore con il quale annuncia Cristo. «So infatti che questo servirà alla mia salvezza, grazie alla vostra preghiera e all’aiuto dello Spirito di Gesù Cristo, secondo la mia ardente attesa e la speranza che in nulla rimarrò deluso; anzi nella piena fiducia che, come sempre, anche ora Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia» (Fil 1, 19s).
Per questo Paolo propone se stesso a tutti i fedeli come colui che si deve imitare: «Fatevi miei imitatori!» (1Cor 4, 16); e ancora: «fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo» (1Cor 11, 1). Se questa provocazione è raccolta, anche «la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio» (Col 3, 3). Infatti «Cristo è la nostra vita» (Col 3, 4).
La testimonianza di vita, fatta di opere e parole, è quindi la mo dalità imprescindibile per l’efficacia dell’annuncio del Vangelo anche nel mondo di oggi. Vale per ogni cristiano.
Infatti, Paolo scrive ai Tessalonicesi: «voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore, avendo accolto la Parola in mezzo a grandi prove, con la gioia dello Spirito Santo, così da diventare modello per tutti i credenti della Macedonia e dell’Acaia. Infatti per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne. Sono essi infatti a raccontare come noi siamo venuti in mezzo a voi» (1Tess 1, 6-9).
I cristiani di Tessalonica, avendo seguito l’esempio di Paolo, sono diventati modello per altri, annunciatori di Gesù, al punto che Paolo può dire che lui stesso “non [ha] più bisogno di parlarne”.
Ai cristiani della Chiesa di Corinto Paolo dirà che sono una lettera vivente, la sua e di Cristo (cfr. 2Cor 3, 2s): una lettera che parla di Gesù con la vita che essi vivono.
La Chiesa che ci presenta Paolo è quella che è nata e vive dell’unico Vangelo annunciato dagli apostoli, incontra veramente Gesù e vive la vita nuova che le è stata donata. In questa Chiesa i cristiani imitano Paolo e si fanno a loro volta annunciatori di Cristo fino a diventare essi stessi una lettera vivente che parla di Cristo agli altri, tanto che Paolo stesso non ha quasi più bisogno di parlare di Gesù: parla la loro vita.
È questo modo di essere e di vivere da cristiani che noi dobbiamo sempre di nuovo recuperare, per fedeltà a Gesù, per la nostra stessa vita e per l’efficacia dell’annuncio del Vangelo nel nostro mondo.