DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto.
C’è un tempio, leggiamo nel Vangelo, «ornato di belle pietre e di doni votivi», sicuramente maestoso e imponente, che attira lo sguardo e l’ammirazione di tutti.
Ma, ci dice Gesù, «verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
C’è un tempio, fatto di carne, fragile, limitato…che è l’uomo…di questo tempio, dice ancora Gesù nel Vangelo, «nemmeno un capello […] andrà perduto». Anzi, «con la vostra perseveranza salverete la vostra vita». Anche il profeta Malachia, nella prima lettura, così conferma: «Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia».
Una stessa vita, una stessa esperienza fatta di «guerre e di rivoluzioni», giorni in cui «si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo» … ma due “destini” diversi.
«Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Sono intimoriti, forse incuriositi, tutti coloro che stanno ascoltando Gesù nel tempio…e, magari, anche noi vorremmo rivolgere, o meglio, rivolgiamo a Lui la stessa domanda.
«Ma non è subito la fine», ci risponde Gesù. Non si tratta di eventi annunciatori della fine del mondo ma una storia quotidiana fatta di fatiche, incertezze, lotte, una storia che ci chiede un continuo esercizio di discernimento sulla volontà di Dio per ciascuno di noi.
Questa storia diventa, per il credente, esercizio di perseveranza e di pazienza: persecuzioni, prigionia, tradimenti, ostilità, ci chiedono di rimanere saldi, di custodire l’interiorità, di mantenere la fede, di salvaguardare la nostra umanità, di affidarci a quel Dio che, solo, può donarci «parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere».
E tutto ciò sarà come chicco di grano caduto a terra che darà frutto.
Da qui il severo monito di Paolo alla comunità di Tessalonica: «chi non vuol lavorare, neppure mangi». Non si vive l’incontro con il Signore, come del resto non si vive nessuna incontro umano, stando alla “finestra”, reputando inutile qualsiasi preparazione, l’affaticarsi e l’occuparsi delle cose della terra, perché è proprio questa terra, è proprio questo tempo con tutte le sue e le nostre contraddizioni, che ci rendono continuatori ed eredi dell’azione creatrice di Dio e ci permettono di lavorare e lavorarci affinché ogni giorno possa sorgere, per noi e per chi ci sta accanto, «con raggi benefici il sole di giustizia».