RIPATRANSONE – Anche quest’anno l’equipe di pastorale familiare ha organizzato i Sentieri di spiritualità per famiglie, una due giorni (sabato 16 e domenica 17 novembre) dedicata alle coppie che hanno vissuto un week-end presso il convento delle suore teresiane e che hanno riflettuto sui cinque verbi presenti nell’esortazione post sinodale Evangelii Gaudium 24: prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare e festeggiare. Il Vescovo Carlo Bresciani ha avuto modo di riflettere su questi verbi, declinandoli nella vita delle famiglie. Nel pomeriggio di sabato in particolare si è soffermato sui verbi accompagnare e fruttificare.
Accompagnare significa – ha spiegato Mons. Bresciani – farsi compagni di viaggio, avendo la pazienza del tempo. La parola deriva dal latino cum panis e significa coinvolgersi: questo comporta non solo il fare strada, ma condividere ciò che si ha lungo il cammino. Questo verbo ben si coniuga con la vita familiare poiché come famiglia si mangia alla stessa tavola. Accompagnare ci rimanda a un altro pane e un’altra tavola, quello della mensa eucaristica nella quale, condividendo lo stesso cibo diveniamo un solo corpo. È proprio dal pane eucaristico che capiamo il senso più profondo del verbo accompagnare: accompagnare significa donare se stessi come Gesù fa dono della sua persona sotto le specie del pane e del vino. Nella vita matrimoniale questo concretamente significa guardare al passo di chi ti sta vicino, altrimenti non ci si fa compagni: il marito deve guardare al passo della moglie e viceversa. In questo cammino dobbiamo constatare che non possediamo né la strada né i tempi, siamo invece responsabili dell’altro del quale dobbiamo comprendere i limiti. In questo cammino possiamo compiere due “peccati”: idealizzare l’altro/a ritenendolo perfetto/a oppure, al contrario, non avere fiducia di lui/lei. Come immagine del nostro cammino della vita matrimoniale con Gesù possiamo prendere i discepoli di Emmaus: in questo brano del vangelo di Luca Gesù si fa compagno dei due discepoli e ci indica appunto cosa significa accompagnare. I due discepoli hanno peccato, proprio come può avvenire nella vita coniugale, di idealizzazione di Gesù: essi si attendevano un certo tipo di salvatore e i loro schemi si sono infranti cozzando con la realtà, di lì la loro delusione. Gesù offre loro la spalla, li fa parlare, offre una prospettiva di soluzione, ma essi sono talmente piegati su se stessi che neppure lo riconoscono! I loro occhi si aprono solo quando Gesù condivide il pane con loro. Dal brano evangelico possiamo imparare che il primo pane offerto da Gesù e che noi possiamo offrire in famiglia è quello di tipo spirituale e il secondo è quello di tipo materiale.
Il Vescovo Carlo ha proseguito la sua meditazione concentrandosi sul verbo fruttificare. Dobbiamo semplicemente costatare che in natura i frutti vengono dopo la semina e non prima! Nella vita familiare dobbiamo fare i conti col tempo che serve all’altro/a per fruttificare, tenendo conto che ciò è frutto di un percorso. Inoltre dobbiamo sempre tener presente che noi seminiamo, ma è Dio che fruttifica: siamo padroni della semina, non del raccolto e infatti i frutti non sono sempre quelli che speriamo. Anche per questo verbo possiamo prendere l’immagine evangelica della parabola del grano e della zizzania: quante volte noi, come gli operai della parabola, ci lamentiamo di avere seminato bene e di trovare però di mezzo il male che non è opera nostra? Non bisogna spaventarsi della zizzania, il male c’è e ci sarà fine la fine del mondo. La vera domanda che dobbiamo porci non è se c’è il male nel mondo, ma come ci poniamo noi davanti a questo? Non dobbiamo stancarci di seminare e sappiamo anche che seminare è sempre un “rischio”. Ricordiamo anche le parole di Gesù: «Se il chicco di grano non muore non porta frutto». Non sono solo parole di una saggezza per così dire popolare, ma è il cuore del mistero della morte e resurrezione di Cristo. È a questa logica che dobbiamo guardare anche nella vita familiare: dobbiamo un po’ morire a noi stessi per fare spazio all’altro/a oppure ai figli. È illusorio pensare che ci possa essere vero amore laddove non si smussa il proprio ego.