DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto.
È curioso l’anno liturgico: lo abbiamo iniziato nel segno di un Bambino, avvolto in fasce e deposto in una povera mangiatoia, Cristo fatto carne, e lo concludiamo celebrando un Re, Gesù Cristo Re dell’universo.
Ma la liturgia non ci vuole presentare la storia di qualcuno che ha saputo riscattare la propria vita, passando da una situazione di umiltà e di miseria ad una di potere e ricchezza. Neanche la storia di chi ha voluto e saputo costruirsi una carriera e così conquistare una posizione di prestigio sociale, politico, civile.
No…perché il re che celebriamo, lo leggiamo nel brano evangelico di questa domenica, è molto particolare: non ha una corona d’oro ma una corona di spine, non ha un trono ma è innalzato su una croce, non ha un esercito di pretoriani che lo difende ma due malfattori al suo fianco e un manipolo di soldati che lo schernisce.
È un re per il quale bisogna scrivere un cartello «Costui è il re dei Giudei» per identificarlo. È un re spoglio e tutti, romani, capi del popolo di Israele e uno dei due ladroni, concordano nel dare a Gesù un’ultima possibilità di manifestarsi nel modo “giusto”: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso» e «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!».
Anche noi potremmo essere d’accordo con loro: umanamente parlando, non si può far festa e inneggiare ad un re che ha come trono una croce, pensare ad un re crocifisso e che fa, proprio di quella croce, uno strumento di esaltazione e di salvezza universale.
Viviamo la tentazione di un Dio che è re perché può tutto, un re che non ha bisogno di niente e di nessuno, sommo egoista bastante a se stesso: la liturgia, invece, continua sempre a centrare la nostra attenzione su quel Bambino, bisognoso di tutto e di tutti, e che non basta a se stesso!
Dire che Cristo è Re significa non arrendersi all’evidenza della sconfitta di Dio e dell’uomo, credere che il mondo non sta precipitando nel caos e nel buio della morte ma nell’abbraccio tenerissimo del Padre: «Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose».
«Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena?», dice uno dei due malfattori crocifissi con Gesù all’altro. Dio nel nostro patire, Dio sulla stessa croce dell’uomo, Dio vicinissimo nella passione di ogni uomo. Che entra nella morte perché, là, va ogni suo figlio, perché il primo dovere di chi ama è di essere con l’amato.
Sei tu il nostro Re, Signore, un re fuori dagli schemi, ma l’unico che, come conducevi e riconducevi Israele, così, oggi, continui ad accompagnarci nel percorso della nostra vita tornando a ripeterci «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Quella di un Bambino!