C’è un nome – quello di Paolo Miki – che ricorre in quasi tutti gli interventi di Papa Francesco nel suo viaggio in Giappone, che ha visto una tappa a Nagasaki presso il Monumento dei martiri, di fronte al quale il Santo Padre si è ritirato in preghiera in silenzio, prima di pronunciare il suo saluto. Una famiglia gli ha offerto dei fiori che il Papa ha deposto davanti al Memoriale, e poi ha acceso una candela offertagli da un discendente dei cristiani perseguitati. San Paolo Miki è nato a Kyoto nel 1556 da una famiglia benestante e battezzato a cinque anni. Entra in un collegio della Compagnia di Gesù e a 22 è novizio, divenendo così il primo religioso cattolico giapponese. Esperto della religiosità orientale, viene destinato alla predicazione. Il cristianesimo, infatti, è già arrivato in Giappone nel 1549 con Francesco Saverio e Paolo Miki vive anni fecondo. Ma alla fine del 1500 lo shogun Hideyoshi dà inizio alla persecuzione contro i cristiani, ordinando l’espulsione di tutti i sacerdoti. Paolo Miki viene arrestato nel dicembre 1596 a Osaka. Insieme ad alcuni missionari stranieri e ad altri cristiani giapponesi viene costretto a raggiungere a piedi Nagasaki, luogo dell’esecuzione scelto per la sua significativa presenza cristiana. Il viaggio, lungo 800 chilometri, percorsi nel rigido inverno nipponico, dura un mese. Giunti sulla collina di Nishizaka, san Paolo Miki e i suoi compagni vengono crocifissi e, dopo una lunga agonia, trafitti con le lance. Prima di morire, Paolo esorta tutti a seguire la fede in risto e perdona i suoi carnefici. Beatificati nel 1627, i 26 martiri sono stati canonizzati da Pio IX nel 1862. Cento anni dopo, viene eletto il monumento che li commemora. Le spoglie di alcuni di loro (Paolo Miki, Giacomo Kisai e Giovanni Goto) sono custodite nella prospiciente chiesa di San Filippo, riconoscibile dalle singolari torri campanarie ispirate alle architetture di Gaudì.