Bianchi sottolinea che “la conversione richiesta dal Sinodo è integrale: pastorale, culturale, sociale ed ecologica”. “Solo così – scrive – la Chiesa potrà essere pienamente madre di questi popoli amazzonici. E sia detto chiaramente: al centro dell’intero dialogo sinodale c’è sempre stato il Cristo, Signore della Chiesa e del mondo, unico Salvatore dell’umanità. Non vi sono stati segni di debolezza in materia di fede cristologica, nonostante i timori di derive sociologiche”.
Tre i temi che Bianchi mette a fuoco quali “segni dei tempi”: le comunità costrette a vivere senza eucaristia, la donna nella Chiesa e il rito amazzonico. “La Chiesa vive – ricorda Bianchi – è generata ed è edificata dall’eucaristia, e se viene a mancare questa sua fonte di vita si sfilaccia, si riduce a movimento, con il rischio di scomparire. Si è parlato a lungo di presbiteri uxorati, ma resta lontana una risposta positiva”. Bianchi sottolinea che forte è il timore che il valore del celibato non venga più compreso e sia costretto a subire una diminuzione nella sua valenza profetica. “Sulle donne nella Chiesa – prosegue – vi sono troppe locuzioni ambigue, idealiste e romantiche, che non convincono né incantano le nuove generazioni. Perché non ci si interroga sull’abbandono della Chiesa da parte delle donne più giovani?”. Bianchi auspica che venga favorita l’elaborazione di un rito per l’Amazzonia. “Ma ci sono anche altre terre – aggiunge – in Oriente e soprattutto in Africa, che potrebbero esprimere la loro confessione di fede attraverso modalità che rispondano alle loro lingue e alle loro culture, senza tradire il Vangelo”. “Sarà un cammino lento, che non può essere fatto da esperti a tavolino – conclude –. Ancora una volta sarà Papa Francesco a pungolarci. Abbiamo un Papa che è anche un profeta: fidiamoci!”.