“Il Sud Sudan è uno dei posti del mondo dove è in corso da anni un conflitto civile, dove la vita è minacciata, dove persone innocenti stanno morendo a causa di una cattiva gestione del potere, a causa della fame, delle carestie. La Chiesa ha il mandato di portare nella storia il Regno di Dio. E il Regno di Dio è un regno di giustizia, di pace, di riconciliazione, di uguaglianza”. Questo il “motivo” profondo che spinge Papa Francesco e l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby a volersi recare nel paese africano. Desiderio più volte espresso ma ufficialmente formalizzato al termine di un incontro che si è svolto in Vaticano il 13 novembre scorso. Era presente anche l’arcivescovo Ian Ernest, arcivescovo direttore del Centro Anglicano di Roma e rappresentante della Comunione Anglicana presso la Santa Sede, ed è lui a delineare per il Sir i presupposti e le speranza di questa visita.
Le statistiche di ong e uffici Onu concordano. Il Sud Sudan è un paese in ginocchio, dove 4 persone su 10 sono malnutrite e la metà non ha accesso all’acqua potabile. È lo Stato più giovane al mondo, con oltre 60 gruppi etnici e fra i più frammentati dell’Africa centrale. Dal 2013 è in corso una guerra che ha coinvolto pesantemente la popolazione civile, è animata dalle milizie di etnia dinka, fedeli a Salva Kiir, e quelle di etnia nuer, guidate da Machar.Alla instabilità politica si sono aggiunte inondazioni, carestie, crisi alimentari, costringendo 2,5 milioni di persone a scappare e cercare rifugio in Etiopia e Uganda.“Quello che mi colpisce – confida subito l’arcivescovo anglicano – è il fatto che Papa Francesco e l’arcivescovo Justin abbiano deciso di agire insieme per avere un impatto più profondo sul contesto sociale e politico, perché laddove ci sono conflitti, possano portare questo spirito di unità, oggi sempre più essenziale perché si metta in atto una trasformazione del mondo”.
L’impegno delle Chiese per il Sud Sudan ha una storia importante. Sul campo opera un Consiglio delle Chiese cristiane. Moltissime sono le ong e i religiosi impegnati in progetti di aiuto alla popolazione. La Comunità di Sant’Egidio ha ospitato recentemente a Roma una tre giorni di colloqui alla quale hanno partecipato i rappresentanti del South Sudan Opposition Movements Alliance, la coalizione dei movimenti di opposizione che non avevano aderito all’Accordo di pace di Addis Abeba del settembre 2018. Storico è stato il ritiro spirituale che si è tenuto nell’aprile di quest’anno in Vaticano al quale sono stati invitati le autorità civili ed ecclesiastiche del Sud Sudan. Infine, il recente incontro di Papa Francesco con l’arcivescovo Welby dove è stata ufficializzata la visita che i due leader intendono fare insieme al Paese. Nella nota della Santa Sede si precisa però che il viaggio si farà solo dopo l’effettiva costituzione di un governo transitorio di unità nazionale nei prossimi 100 giorni.Si tratta – spiega l’arcivescovo Ernest – di una “clausola” importante perché in qualche modo “obbliga” i leader politici sud sudanesi a rimanere fedeli all’impegno preso in Vaticano di lavorare per la pace e la riconciliazione nel Paese.
“Laddove c’è una volontà, c’è anche una strada da percorrere”, osserva il direttore del centro anglicano di Roma. “Quello che papa Francesco e l’arcivescovo Justin stanno facendo è dare un’opportunità perché un governo possa formarsi e possa veramente generare una trasformazione. Chiedono però ai leader politici del Paese di essere servitori del loro popolo. Non sono stati scelti per essere serviti ma per servire. Il futuro è nelle loro mani. Hanno nelle loro mani, come un fragile uccello, il destino del popolo sud sudanese, cosa ne vogliono fare? Vogliono aprire le loro mani in modo che il popolo possa spiccare liberamente il volo oppure vogliono farlo morire nella povertà, nella ingiustizia, nel conflitto. Tutti saremo giudicati dalle nostre azioni”.
In quel famoso ritiro in Vaticano, il Papa ebbe il coraggio di compiere un atto storico. Rompendo il protocollo, come non era mai successo per un pontefice, si è inginocchiato e ha baciato i piedi dei leader sud sudanesi. “Di fronte a quelle immagini così forti”, ricorda oggi l’arcivescovo Ernest, “ho toccato con mano il grado di umiltà che caratterizza Papa Francesco. L’umiltà è strumento di pace in un mondo sempre più arrogante, dove l’orgoglio ha preso in ostaggio i cuori delle persone, dove la ricchezza sembra guidare le decisioni dei potenti. In questo mondo, in questo tempo, abbiamo bisogno dello spirito di povertà.Se un leader della Chiesa ha avuto il coraggio di gettarsi ai piedi dei politici, anche loro che hanno promesso di servire il paese, devono gettarsi ai piedi del loro popolo e impegnarsi a rendere concrete le promesse che hanno fatto”.
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photosmash_disabled-layers”>“Come Gesù ha inviato i primi apostoli a due a due”, oggi Papa Francesco e l’arcivescovo di Canterbury andranno in Sud Sudan per portare un messaggio di unità e dire al mondo: “nonostante le nostre differenze, possiamo essere insieme un arcobaleno di speranza”. Il mondo – aggiunge l’arcivescovo – aspetta dalle chiese “questo messaggio. I giovani aspettano una chiesa capace di parlare al loro cuore, di dare un senso e un obiettivo alla loro vita. Le famiglie chiedono di essere riconciliate. E noi, cosa possiamo dare? Discorsi, sicurezza? Dobbiamo dare amore ma gli altri devono vedere in noi un amore che si fa azione”.
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