Torino preoccupata, un po’ smarrita, in cerca di un riscatto che non arriva. Torino città-fabbrica che non è più. Capoluogo di una delle regioni-locomotiva del Paese, nel quale e dal quale prendevano forma l’auto italiana ma anche i movimenti operai (e non solo), la città-laboratorio di tecnica e cultura, baluardo di progresso e d’innovazione, è oggi in bilico e con essa un po’ tutta la regione: da un lato il precipizio della crisi, dall’altro un lungo sentiero in salita verso la ripresa.
Lo ha detto il Centro Einaudi: la città rispetto a vent’anni fa è cambiata e in meglio.
Se si considera “l’andamento di una cinquantina di indicatori di efficienza urbana, il segno positivo prevale in circa due terzi dei casi”. Buona cosa, ma non sufficiente. Tanto che il ventesimo Rapporto Giorgio Rota (predisposto dal Centro), parla di un “futuro rinviato”. Torino è cresciuta in molte cose, ma altre città hanno fatto di più e in molti casi più velocemente e con risultati migliori. Dal punto di vista dell’economia, bastano pochi dati per capire. Nell’ultimo ventennio – dicono i ricercatori -, sono aumentate le piccole imprese con meno di 10 addetti, ma il calo delle grandi (-12%) ha nel complesso prodotto una diminuzione del numero dei lavoratori, al contrario di quanto accaduto nella maggior parte delle metropoli italiane. In quanto a ricchezza prodotta, “l’area torinese è declinata”: nel 2000 era quinta tra le metropoli del Centronord, adesso è settima davanti solo a Venezia. Certo, il turismo in città ha fatto passi da gigante. Ma la quota di giovani al lavoro è tra le più basse d’Europa, “e si tratta pure di giovani poco qualificati: circa i laureati tra i 25-30 anni, Torino è quart’ultima tra le metropoli italiane”.
Poi c’è l’industria con quasi un terzo di addetti in meno. “In forte calo, più della media – dice sempre il Rapporto Rota -, sono anche i settori dei trasporti e delle costruzioni”.
Il Torinese è una delle aree di crisi complessa che il governo ha individuato. Si aspettano qualcosa come 150 milioni di euro per investimenti in grado di rilanciare la produzione sul territorio.
Quando il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è arrivato in città (qualche settimana fa), ad attenderlo c’erano tutti: la sindaca, Chiara Appendino, il governatore, Alberto Cirio, e, soprattutto, gli imprenditori e i lavoratori. Conte ha confermato i fondi. I sindacati hanno presentato il conto. Fim-Cisl ha spiegato: nel Torinese ci sono circa 100mila addetti metalmeccanici, solo nell’automotive a rischio ci sono circa 25mila persone. Nell’elenco delle aziende in crisi ci sono alcuni dei più noti nomi dell’industria locale e nazionale: Ventures ex Embraco, Lear, Olisistem, Blue Car, Mahle, New Holland, Comital. FCA, sempre stando al sindacato, ha qualcosa come 4mila persone in cassa integrazione. L’Ilva ha sedi lontane solo qualche decina di chilometri dal capoluogo.
Senza parlare dei pasticci più o meno recenti che ancora scottano: le Olimpiadi mancate, il Salone del Libro salvato in extremis, quello dell’auto migrato a Milano. E senza dire della Fiat che ha lasciato molti orfani in città.
L’arcivescovo Cesare Nosiglia incontrando proprio i lavoratori di una delle aziende in crisi (la Olisistem), ha detto recentemente di vedere nelle diverse situazioni di crisi un “filo rosso comune” dato dalle decisioni “sopra le teste altrui per lasciarle nello smarrimento, nel senso d’impotenza”.
Nosiglia quindi ha spiegato che alla Chiesa tocca “richiamare con forza tutte le parti in causa a fare ogni sforzo, con responsabilità, per superare queste situazioni e ritrovare la via di uno sviluppo che salvaguardi il bene più prezioso, che è l’uomo che lavora e la sua famiglia”.
Già, le famiglie. Un recente rapporto predisposto da Coldiretti dice che in Piemonte ci sono quasi 200mila nuclei familiari (pari al 5,9% della popolazione) in condizioni di miseria assoluta: senza i soldi per potersi permettere nemmeno le spese essenziali, come anche l’acquisto di farmaci. Mentre il reddito netto sarebbe sceso del 12% circa tra il 2007 e il 2016. Una delle risposte è stata “Pane nostro”, l’iniziativa della diocesi che ha coinvolto 13mila giovani in età scolare in una gigantesca colletta alimentare.
Certo, ci si sta dando da fare per agguantare quel futuro che non arriva. Il Politecnico è in prima fila, così come l’Università. A Torino si sperimentano l’auto a guida autonoma e quelle elettriche; mentre resistono alcune eccellenze dell’alimentare. Alenia, poi, sta proprio qui ed è di questi giorni l’annuncio da parte di Leonardo del progetto “Torino città dell’aerospazio”, firmato dal gruppo in collaborazione con il Politecnico per l’area industriale situata tra corso Marche e corso Francia sul limitare della città.
E sono a Torino il Cottolengo e il Sermig che rappresentano esempi mondiali di solidarietà. Senza contare quanto fanno le fondazioni bancarie Compagnia di Sanpaolo e Fondazione Crt.
Negli ultimi mesi lo scatto d’orgoglio di oltre 40 associazioni e di cinque “madamine” che hanno raccolto tutto il sistema della produzione e del lavoro attorno alla necessità di realizzare la nuova linea ferroviaria Torino-Lione (quella che viene impropriamente chiamata Tav), ha certamente segnato un punto importante. L’aulica piazza Castello colma di gente al grido “Sì Torino va avanti”, ha scosso i Palazzi. La giunta Appendino ha vacillato dopo quella manifestazione. Cirio nelle elezioni regionali successive ha spazzato via Sergio Chiamparino.
Rimane però tutto il resto da fare. È da qui che nasce l’attesa.
Mentre si fa più lungo l’elenco delle fabbriche che rischiano di chiudere. Da qui, anche la mobilitazione dei sindacati. Cgil Cisl Uil hanno lanciato la “Vertenza Torino” sulla crisi che investe l’Area metropolitana. Il 13 dicembre ci sarà una fiaccolata per le vie centrali della città. “Gli occupati dell’area metropolitana – spiegano i lavoratori -, sono scesi di 9.000 unità tra il 2008 e il 2018. Da inizio crisi il Torinese è l’area più cassaintegrata d’Italia: attualmente le situazioni di crisi aperte coinvolgono circa 4.000 lavoratori”. Il messaggio è semplice: “Non possiamo permetterci di subire il declino”. Ed è di fatto lo stesso lanciato dagli industriali ancora qualche giorno fa. API Torino, Ascom, CNA, Confartigianato Torino, Confesercenti, Unione Industriale insieme alla Camera di Commercio, a proposito della possibilità di tagli ai collegamenti ferroviari fra Torino e il resto d’Italia, hanno gridato: “La nostra città, così come il Piemonte, non possono essere posti a margine del sistema ferroviario nazionale. La Torino dell’industria, dell’artigianato, del commercio, del turismo non può essere marginalizzata”.
Già, il rischio alla fine è questo: essere posti alla periferia del Paese. Così come ai margini della società, sono già i tanti barboni che ogni notte dormono sotto i portici che hanno reso famosa questa città.
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