di Fabio Colagrande
“L’uso delle armi nucleari” e il loro “possesso”, sono “immorali” e questa definizione “deve andare nel Catechismo della Chiesa Cattolica”. Papa Francesco lo ha affermato lo scorso 26 novembre, nella conferenza stampa durante il volo di ritorno dal Giappone, al termine del suo trentaduesimo viaggio apostolico. Il Papa rispondeva a una domanda di un giornalista nipponico che gli chiedeva di commentare le sue visite a Nagasaki e Hiroshima, le due città giapponesi colpite dalla bomba atomica nell’agosto del 1945. Visitando l’Atomic Bomb Hypocenter di Nagasaki, infatti, domenica 24 novembre, Francesco aveva sottolineato che “un mondo in pace, libero da armi nucleari, è l’aspirazione di milioni di uomini e donne in ogni luogo” e che “occorre considerare l’impatto catastrofico del loro uso dal punto di vista umanitario e ambientale”. Lo stesso giorno al Memoriale della Pace di Hiroshima aveva già definito “immorale” l’uso dell’energia atomica per fini di guerra, come il possesso delle armi atomiche. In proposito, Fabio Colagrande ha chiesto un commento a padre Paolo Benanti, francescano del Terzo Ordine Regolare, docente di etica e bioetica alla Pontificia Università Gregoriana.
R. – La prima volta che la Chiesa parlò delle armi atomiche come un problema per la sopravvivenza stessa dell’uomo fu nel 1963 con l’enciclica “Pacem in terris” di Giovanni XXIII. Il documento pontificio veniva pubblicato l’anno dopo la Crisi di Cuba, nella quale il semplice possesso dei missili nucleari aveva rischiato di provocare una guerra mondiale: siamo stati a un passo dal baratro. Poi ci fu la “Gaudium et Spes” nel 1965 e ancora il concetto fu ribadito da Giovanni Paolo II parlando agli scienziati nel 1980 e poi con la sua visita a Hiroshima nel 1981. Ne parlarono la “Sollicitudo rei socialis” nel 1987 e la “Centesimus annus” nel ’91. Benedetto XVI condannò le armi atomiche nel 2009, lo stesso Francesco aveva già espresso la condanna nel dicembre 2014, in un messaggio in occasione della Conferenza sull’impatto umanitario delle armi nucleari, e l’ha ribadita ai numeri 57 e 104 della “Laudato si’” e poi nell’Angelus del 9 agosto 2015. È la realtà che ci interroga come Chiesa e un passaggio del Vangelo ricorda che “se le nostre voci tacessero, parlerebbero le pietre”. In fondo è quello che ha detto il Papa tornando da Hiroshima: sono le pietre che parlano di un anti-Vangelo, di odio, di una capacità di distruggere la Creazione, di de-creare ciò che il Signore ci ha dato. E allora si capisce l’urgenza dell’appello del Papa, pronunciato di fronte ai giornalisti, rispetto a un contesto internazionale che sembra farsi sempre più teso.
D. –Già nell’agosto del 2018, con un rescritto, il Papa ha cambiato il Catechismo per dichiarare sempre inammissibile la pena di morte. Ora ha annunciato che vorrebbe inserire questa condanna delle armi nucleari. Dunque il Catechismo della Chiesa cattolica può cambiare?
R. – La fede non è definita nel Catechismo: il Catechismo è lo strumento che raccoglie le verità della fede. Questo è già accaduto, perché quando l’allora Prefetto della Dottrina della fede – parliamo di Ratzinger – licenziò la prima forma del Catechismo in lingua francese, ancora non era stata pubblicata l’enciclica a difesa della vita “Evangelium vitae” e alcuni numeri del Catechismo non recepivano il concetto di tutela della vita in modo così forte come Giovanni Paolo II ricordò poi a tutto il mondo con la stessa enciclica. Ed ecco che la seconda edizione del Catechismo, quella in latino, l’edizione tipica, presentò dei numeri differenti rispetto alla prima. La consapevolezza della Chiesa, la consapevolezza dottrinale, cioè l’idea di quello che è la richiesta che la fede ci fa per vivere questo tempo, deve essere rispecchiata, di volta in volta, nel Catechismo.
D. – I continui appelli di Papa Francesco al disarmo non sembrano in contrasto con una visione realistica degli equilibri geopolitici garantiti proprio spesso dal possesso delle armi? Non rischiano di essere appelli utopisti?
R. – Per la prima volta, svegliandoci dopo il secondo conflitto mondiale, ci siamo resi conto che con le armi nucleari avremmo potuto distruggere noi stessi. E allora gli uomini di buona volontà hanno cercato di distribuire il possesso delle armi nucleari in maniera tale che la situazione di conflitto tra le due superpotenze fosse sintetizzabile in quella che all’epoca si chiamava la “teoria dei giochi”. Il punto era mettersi in una situazione tale per cui a nessuno convenisse cominciare il “gioco” della guerra nucleare, perché nessuno lo poteva vincere. Era una scelta per cercare di limitare il male. Oggi il Papa non è idealista; sta semplicemente dicendo che bisogna tirare le conclusioni. Oggi siamo sull’orlo del baratro e l’unica cosa sicura per non precipitarvi non è cercare di non giocare, ma è proprio cambiare gioco. E possiamo farlo solo con una volontà internazionale. Tutto ciò accade oltretutto in un momento particolare in cui si stanno sviluppando nuovi ordigni atomici non più potenti ma più leggeri. Qualcuno sta iniziando a dire che potrebbero esserci occasioni in cui “piccole bombe atomiche” adatte a distruggere i sistemi informatici sarebbero la soluzione migliore. Questi nuovi scenari rendono l’uso dell’atomica molto più probabile di una volta, perché non siamo di fronte ai grandi missili che distruggono tutto ma a missili che potrebbero essere usati con più “facilità”, e ciò rende la situazione estremamente pericolosa. Per cui un appello come quello del Papa non solo è profetico, ma è anche profondamente adatto alla stagione che viviamo nei conflitti internazionali.