di Andrea Regimenti
Più di un miliardo di persone vive nel mondo con qualche forma di disabilità, circa il 15% della popolazione. Un trend in ascesa rispetto al passato: negli anni ’70, infatti, questa stima era infatti intorno al 10%. Per loro l’Onu ha proclamato nel 1981 la Giornata internazionale delle persone con disabilità, che cade ogni oggi, con lo scopo in particolare di “promuovere i diritti e il benessere dei disabili”. In occasione della Giornata, la Caritas Italiana ha pubblicato il suo 53° Dossier con dati e testimonianze (Ddt), dal titolo “Prendersi cura. Inclusione, il vero bisogno speciale”, che presenta un focus soprattutto sulla condizione delle persone con disabilità nei Paesi dei Balcani occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Montenegro, Serbia). La disabilità e il disagio mentale spesso si accompagnano a pregiudizi, paura, inquietudine. Tali condizioni – si legge nella nota di presentazione al Dossier – sono causa ed effetto di povertà: le persone con disabilità sono soggette a discriminazioni e a mancanza di pari opportunità che producono una limitazione alla partecipazione sociale e violano i loro diritti umani. Molto è stato fatto negli anni, ma la complessità della disabilità e la sua continua trasformazione ci invitano continuamente a non fermarci. Bisogna continuare a lavorare, per promuovere comunità più accoglienti, attente, capaci di intercettare e accogliere quei bisogni”.
La disabilità nel mondo. In tutto il mondo, circa 1 miliardo di persone con disabilità, ovvero il 15% della popolazione mondiale, devono affrontare discriminazione e ostacoli (fisici e non solo), che riducono il loro diritto a partecipare alla vita sociale in condizioni di parità con gli altri cittadini. In diversi Paesi alle persone con disabilità vengono negati diritti fondamentali come frequentare la scuola, muoversi liberamente, vivere una vita autonoma, votare, partecipare alle attività sportive, ma anche il diritto alla protezione sociale e il diritto a scegliere le cure mediche a cui sottoporsi. Un numero molto elevato di persone con disabilità vive in Paesi in via di sviluppo, spesso in condizioni di marginalità e di povertà estrema. Parlando più specificamente di salute mentale, il Mental Health Atlas informa che nel mondo circa
una persona su 10 soffre di disturbi mentali, ma solo l’1% della forza lavoro sanitaria mondiale lavora su queste tematiche. Lo stesso rapporto sostiene inoltre che i livelli di spesa pubblica nel contesto della salute mentale sono piuttosto limitati nei Paesi a basso/medio reddito, dove più dell’80% di questi fondi sono destinati a ospedali psichiatrici.
“Il numero di persone con disabilità sta crescendo – si legge nel Dossier -, a causa dell’invecchiamento della popolazione. Le principali analisi confermano infatti che c’è, a livello mondiale, una correlazione positiva tra invecchiamento e disabilità, soprattutto nei Paesi con un minore reddito: gli individui accumulano, nella loro vita, maggiori rischi sanitari a causa di malattie croniche, incidenti e altre patologie. In aggiunta a ciò, le tendenze di disabilità in particolari aree geografiche sono connesse ai cambiamenti delle condizioni di salute, delle condizioni ambientali e altri fattori, ad esempio disastri naturali, condizioni stradali e relativi incidenti, conflitti, abitudini alimentari e abuso di sostanze”.
La situazione balcanica. Una ricerca Unicef del 2014 ha rivelato che in Bosnia ed Erzegovina circa il 45% degli intervistati non permetterebbe ai propri figli di essere amici di bambini disabili. Visto anche il grande stigma a livello sociale, unito alle problematiche condizioni economiche del Paese, l’istituzionalizzazione dei disabili è piuttosto diffusa. Tutti questi Paesi dei Balcani occidentali infatti hanno ereditato dalle politiche sociali socialiste un approccio medico e riabilitativo alla disabilità, con un’enfasi sull’istituzionalizzazione diffusa a opera dello Stato. L’approccio alla disabilità è dunque prevalentemente di tipo medico: i disabili hanno dei problemi che devono essere risolti grazie all’aiuto di figure professionali. Nonostante siano passati decenni dal crollo dei regimi comunisti e le pressioni dell’e, molte persone rimangono segregate nelle istituzioni totalitarie e manca, nella regione, un sistema alternativo di cura.
“Vanno invece – si legge ancora il Ddt – costruite esperienze locali nelle quali si mettano al centro l’ascolto, le relazioni, i legami profondi tutti elementi che rendono possibile l’apertura verso chi è diverso, consentono di allontanare la paura a esprimere le difficoltà proprie o dei propri familiari. Vanno creati spazi fisici, in cui poter sperimentare l’incontro con l’altro, trovare protezione. Lavorare nel settore della disabilità stimola dunque continuamente la creatività, la ricerca di soluzioni nuove, la sperimentazione di percorsi più adatti ai singoli contesti territoriali”. In una regione con un panorama economico e finanziario in costante evoluzione, è necessario, sottolineano i responsabili del Dossier, “promuovere una cultura di donarsi e donare agli altri non è mai stato così cruciale. Tutto ciò richiede tempi medio-lunghi e il cambiamento non succederà dall’oggi al domani”.
Una questione di amore. Nel Dossier vengono anche ricordate le parole di Papa Francesco, pronunciate durante Giubileo degli ammalati e delle persone disabili (Roma, 12 giugno 2016): “Si ritiene che una persona malata o disabile non possa essere felice, perché incapace di realizzare lo stile di vita imposto dalla cultura del piacere e del divertimento. Nell’epoca in cui una certa cura del corpo è divenuta mito di massa e dunque affare economico, ciò che è imperfetto deve essere oscurato, perché attenta alla felicità e alla serenità dei privilegiati e mette in crisi il modello dominante.
Meglio tenere queste persone separate, nascoste, in qualche ‘recinto’ – magari dorato – o nelle ‘riserve’ del pietismo e dell’assistenzialismo, perché non intralcino il ritmo del falso benessere. In alcuni casi, addirittura, si sostiene che è meglio sbarazzarsene quanto prima, perché diventano un peso economico insostenibile in un tempo di crisi.
Ma, in realtà, quale illusione vive l’uomo di oggi quando chiude gli occhi davanti alla malattia e alla disabilità! Egli non comprende il vero senso della vita, che comporta anche l’accettazione della sofferenza e del limite. Il mondo non diventa migliore perché composto soltanto da persone apparentemente ‘perfette’, per non dire truccate, ma quando crescono la solidarietà tra gli esseri umani, l’accettazione reciproca e il rispetto”. Pertanto, concludo i responsabili Caritas nel Dossier, riprendendo sempre le parole del Papa è urgente trovare una “terapia del sorriso, che dà conforto nella fragilità e insiste sull’ amore: ‘Questa è la strada: è sempre una questione di amore, non c’è un’altra strada. La vera sfida è quella di chi ama di più’” .