Padre Jerzy Popieluszko – ricordato dal Papa durante l’udienza di ieri – nacque il 14 settembre 1947 a Okopy provincia di Bialystok, da genitori contadini.
Entrato nel 1965 nel Seminario Maggiore di Varsavia, ricevette l’anno dopo l’ordine di chiamata alle armi, durante la quale fu oggetto di vessazioni e persecuzioni, che indebolirono il suo stato di salute. Fu ordinato sacerdote il 28 maggio 1972 a Varsavia dal cardinale Stefan Wyszynsky. Nell’agosto 1980 era stato inviato dal cardinal Wyszyński tra gli operai in sciopero nei cantieri siderurgici di Varsavia fino a diventare uno dei sacerdoti più legati a Solidarność. Oltre al lavoro parrocchiale, nella Chiesa di San Stanislao Kostka, svolgeva il suo ministero tra gli operai organizzando conferenze, incontri di preghiera anche per medici ed infermieri, assisteva gli ammalati, i poveri, i perseguitati. Don Popiełuszko si impegnò nella celebrazione delle “Messe per la Patria”, nelle cui omelie affrontava temi religiosi e spirituali ma anche questioni di attualità, di carattere sociale e politico-morale, illustrando i documenti fondamentali della Dottrina Sociale della Chiesa e gli insegnamenti al riguardo di Giovanni Paolo II e del Cardinale Stefan Wyszyński. Per il suo coraggio, la difesa dei diritti umani, la richiesta di libertà e giustizia, la capacità di amare anche i suoi persecutori, divenne subito una minaccia per il regime dittatoriale. Don Popieluszko aiutava tutti gli operai, dava loro coraggio, li educava all’amore fraterno, li invitava a non reagire quando venivano colpiti, li confessava, sosteneva le loro famiglie. Gli insegnava a rispondere con preghiere e canti sacri e patriottici alle minacce e alle aggressioni. Sosteneva Solidarnosc nelle sue battaglie per garantire migliori condizioni sociali, per la libertà, la giustizia, il progresso. Tentarono in vario modo di minacciarlo e spaventarlo. Uccisero i figli e i parenti delle persone a lui più vicine. Qualcuno dei suoi collaboratori cedette alle minacce e divenne una spia dei servizi segreti. Ma don Popieluszko non cedette mai alle provocazioni. Quando la situazione sta per precipitare, la Chiesa prova a convincerlo di rifugiarsi a Roma.
Popieluszko è cosciente della sua missione e va avanti, fiducioso, ubbidiente e fedele a Cristo. Così il 19 ottobre 1984 di ritorno da un servizio pastorale da Bydgosszcz a Gorsk vicino a Torun viene rapito da tre funzionari del Ministero dell’Interno, selvaggiamente picchiato e seviziato. Pur legato dentro al cofano dell’auto cerca di fuggire. I persecutori lo braccano, lo colpiscono ancora più violentemente, lo sfigurano, lo legano tra bocca e gambe, in modo che non possa distendersi senza soffocare. Gli stringono un masso ai piedi e lo buttano ancora vivo in un fiume. La notizia dell’assassinio causò disordini in Polonia, e gli autori dell’omicidio – i capitani Grzegorz Piotrowski, Leszek Pekala, Waldemar Chmielewski ed il colonnello Adam Petruszka – furono giudicati colpevoli e condannati a 25 anni di carcere, ma furono rilasciati a seguito di amnistia qualche anno dopo. Aveva 37 anni. Il regime pensa di aver messo a tacere il più coraggioso dei suoi oppositori, e invece è il segno della sua fine. Da lì a poco non solo la Polonia sarà liberata, ma l’intero sistema comunista collasserà. Nonostante le minacce e la violenza, oltre mezzo milione di persone sfilò al funerale di padre Popieluszko. Da allora la tomba di padre Popiełuszko che si trova accanto alla chiesa di San Stanislao Kostka, a Varsavia, è meta continua di pellegrinaggi di fedeli provenienti dalla Polonia e dal mondo intero. In questa città, a poca distanza dal luogo dell’assassinio, Giovanni Paolo II celebra una Messa il 7 giugno del 1991.
Domenica 6 giugno 2010, Padre Jerzy Popiełuszko viene proclamato Beato. Alla cerimonia di Varsavia, tra i tanti esponenti istituzionali ed ecclesiali, c’era anche la madre novantenne di padre Popiełuszko, Marianna.
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