Nella prima audizione pubblica per decidere se il Myanmar abbia commesso un atto di genocidio, la Corte internazionale di giustizia non può non tenere conto dell’immenso orrore delle violazioni compiute nei confronti dei bambini Rohingya.
Nel prendere le proprie decisioni, infatti, la Corte deve avere ben chiara l’enorme sofferenza umana sofferta da questo popolo e l’importanza cruciale che i responsabili ne rispondano”. Questo l’appello di Save the Children, che in questi anni ha raccolto le testimonianze dei bambini Rohingya rifugiati in Bangladesh sulle violenze estreme subite e sul loro forte desiderio di giustizia.
“Le audizioni previste questa settimana di fronte alla Corte internazionale di giustizia sono uno spartiacque per fare giustizia su alcune tra le più scioccanti atrocità dei nostri tempi. Le forze di sicurezza del Myanmar e i loro sodali hanno ucciso migliaia di Rohingya, compresi i bambini, e costretto altre centinaia di migliaia a fuggire in Bangladesh. Nel presentare questa causa alla Corte, il Gambia ha mostrato quella leadership che è finora mancata al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”, ha dichiarato Michael McGrath, direttore per il Myanmar, lo Sri Lanka e la Tailandia di Save the Children. “È giunto il momento che i bambini Rohingya rifugiati e le loro famiglie abbiamo il loro spazio di fronte alla Corte. Hanno visto i loro genitori che venivano uccisi, le loro case messe a fuoco e i bambini gettati tra le fiamme, le ragazze stuprate in gruppo. Abbiamo raccolto tante testimonianze di orribili violenze a cui nessun bambino dovrebbe assistere. È di cruciale importanza che la Corte prenda in considerazione queste denunce di crimini contro i bambini, le loro voci devono essere ascoltate”, ha aggiunto
“Per questo Save the Children chiede con urgenza alla Corte internazionale di giustizia di accogliere questo caso e mandare un segnale forte: il mondo non può restare inerte di fronte a queste atrocità compiute nei confronti dei bambini.
La Corte dovrebbe inoltre imporre misure provvisorie che garantiscano la fine delle violazioni in corso in Myanmar, tra cui l’eliminazione delle restrizioni agli aiuti umanitari, la cessazione di tutte le limitazioni alla libera circolazione e all’accesso ai servizi sanitari, nonché il divieto di distruggere prove”.

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