Lo afferma al don Gionatan De Marco, direttore dell’Ufficio Cei per pastorale del tempo libero, turismo e sport, commentando la decisione della Wada, l’agenzia mondiale antidoping che ha deciso di squalificare la Russia da ogni attività agonistica per i prossimi 4 anni, escludendola dunque dalle prossime Olimpiadi del 2020, dai Mondiali e dagli Europei di calcio. Per don De Marco, nel contesto attuale la “struttura del gioco” si è “spezzata e i valori interni dello sport che dipendono dall’accettazione delle regole, si sono persi. In questi casi, più che le abilità dello sportivo o l’allenamento conta di più il potere di chi cerca di migliorare le proprie prestazioni con tutti i mezzi possibili e immaginabili. Per combattere il doping, fisico e meccanico, e sostenere il fair play nelle competizioni sportive, non basta appellarsi alla morale individuale degli atleti. Il problema del doping non può essere imputato soltanto al singolo sportivo, per quanto sia da biasimare. È un problema più complesso. È responsabilità delle organizzazioni sportive creare regole certe e condizioni organizzative di base per sostenere e motivare gli sportivi nella loro responsabilità e ridurre qualsiasi tentazione di ricorre al doping”. “In un mondo globalizzato come lo sport, servono sforzi internazionali concreti e coordinati – sottolinea don De Marco –. Altri soggetti che esercitano un’influenza significativa sullo sport, come i media, la finanza e la politica, dovrebbero essere coinvolti”. Da ultimo, il direttore dell’ufficio Cei rivolge un appello ai tifosi: “Anche chi fa il tifo dagli spalti dovrebbe tenere presente quanto le loro continue aspettative di miglioramento delle performance e il desiderio di super-spettacolarizzazione degli eventi sportivi spingano gli attori dello sport a doparsi fisicamente o a fare uso di doping meccanico. È necessario tornare ad una visione pratica dello sport per la persona e per il suo benessere integrale: non devono funzionare bene solo i muscoli, ma anche la testa ed il cuore!”.