Un ambiente unico di formazione permanente che va oltre il semplice insegnamento a distanza sulle discipline della comunicazione. È il nuovo Anicec, promosso dall’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana. Ne parla il direttore Vincenzo Corrado, da pochi mesi alla guida dell’Ucs.
Come mai la scelta di rinnovare Anicec?
L’idea è venuta da un ascolto attento del territorio. Nei mesi scorsi, infatti, abbiamo raccolto diverse richieste di un impegno formativo che non fosse solo occasionale ma duraturo nel tempo e continuo nell’intensità. La risposta non poteva che essere quella di un rilancio sostanziale del percorso Anicec, che ha già una sua maturità e solidità.
Abbiamo, quindi, immaginato una piattaforma che fosse una prima risposta immediata alle domande che via via emergono e che possa anche essere alimentata dalla ricchezza di idee, progetti e proposte delle diocesi e delle associazioni.
La “creatività” messa in circolo può essere decisiva per una progettualità condivisa.
Perché la Chiesa italiana si occupa di formazione permanente nell’ambito della comunicazione?
La Chiesa è una comunità che cammina nel tempo e nella storia, condividendo – come insegna il Concilio Vaticano II – ansie e preoccupazioni degli uomini. Camminare è un impegno preciso e inderogabile, sinonimo anche di vitalità. Per farlo in maniera adeguata bisogna acquisire un valido bagaglio di conoscenze e competenze.
Il percorso non può che essere quello della formazione.
Ne parla diffusamente il Direttorio sulle comunicazioni sociali “Comunicazione e Missione”: la formazione “è certamente la scelta prioritaria che la comunità ecclesiale deve mettere in atto, in considerazione del nuovo clima culturale e in vista di una credibile opera di evangelizzazione. Se la comunicazione guarda tutta la comunità, la conseguenza è un impegno formativo rivolto a tutti i responsabili, sacerdoti e diaconi, religiosi e religiose, catechisti, animatori pastorali ed educatori. La formazione è la condizione di partenza per preparare operatori competenti ed efficaci”. È questa la chiave di volta del percorso Anicec: lo era prima e continuerà ad esserlo anche ora.
Oltre 3 milioni di post ogni minuto su Facebook, mezzo milione di tweet, 38 milioni di messaggi su Whatsapp. Che spazio di comunicazione c’è per la Chiesa in questo contesto?
Mi torna in mente il tema scelto da san Giovanni Paolo II per la XXXV Giornata mondiale delle comunicazioni sociali: “Predicatelo dai tetti: il Vangelo nell’era della comunicazione globale”. Spiegava Papa Wojtyla nel messaggio: “Oggi proclamare la fede dai tetti significa proclamare la Parola di Gesù nel mondo dinamico delle comunicazioni sociali e attraverso di esso”. E ancora: “La Chiesa non può non impegnarsi sempre più profondamente nel mutevole mondo delle comunicazioni sociali”. Nonostante il contesto sia radicalmente mutato in questi decenni, queste parole conservano tutta la loro freschezza.
Certo i numeri citati sono importanti, ma questo non deve distogliere il senso di una presenza che rimane quello di una comunicazione altra, che sia pensata e che faccia pensare.
Per questo è quanto mai necessario e urgente recuperare l’arte dell’educazione per una progettualità che non va assolutamente lasciata all’improvvisazione.
Formare operatori della comunicazione competenti è, dunque, un modo di essere presenti nei nuovi spazi digitali?
Certamente! Ben vengano tutte le iniziative volte a una comprensione attenta e profonda di linguaggi che magari non sono i nostri e, forse, per qualcuno non lo saranno mai. La formazione a qualcosa che non si conosce non coincide con la ricerca e l’utilizzo di nuovi codici interpretativi o di espressioni linguistiche più in voga.
Non è l’applicazione di hashtag particolari per entrare nei trend topic delle vite altrui. Non è neppure una semplice operazione culturale.
Si tratta, invece, di una scelta di campo che presuppone il raccordo tra il comunicare, il pensare e il vivere ciò che si comunica. È questo che fa la differenza tra una presenza attiva e una presenza passiva.
Sinergia è la parola chiave anche del nuovo corso Anicec: la Chiesa italiana vuole parlare con una sola voce?
Più che una funzionalità vocale, la sinergia indica uno scenario e un contesto. Papa Francesco, nel messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali del 2019, utilizza la metafora del corpo e delle membra, tratta da san Paolo, per porre l’accento tra l’altro sulla nostra identità. Questa, ricorda Francesco, “è fondata sulla comunione e sull’alterità”. Se letta in questo modo, la sinergia acquista un sapore particolare.
La Chiesa, nelle sue multiformi espressioni, parla già con una sola voce polifonica.
I linguaggi possono essere diversi, propri di ciascun media, ma tutti seguono lo spartito della comunione ecclesiale.