di Alessio Magoga*
Ogni anno, puntualissimo, agli inizi di dicembre arriva il Rapporto del Censis (il Centro studi investimenti sociali) sullo stato di salute dell’Italia. Di questo 53º rapporto hanno parlato in molti in questi giorni, mettendo in evidenza soprattutto gli aspetti critici della società italiana (colpa – ahimè! – anche di una certa titolazione “sensazionalistica” che caratterizza il Rapporto). Leggendolo con attenzione, però, al di là degli innegabili ed oggettivi problemi – la sfiducia nei confronti del prossimo, il senso di incertezza sul futuro, il forte calo demografico, la disoccupazione che è percepita dagli italiani come il problema numero uno, la stentata crescita economica dello “zero virgola”… –, c’è anche molto altro. Uno dei primi dati che emerge è la percezione che nel nostro Paese sia in atto un mutamento: la gente sembra essersi stancata (o iniziare a stancarsi) del rancore e del livore che hanno segnato pesantemente gli anni appena trascorsi. Un rancore trasversale, che ha toccato diversi ambiti del vivere civile, a cominciare dalla politica, che – stando a quanto emerge dal Rapporto – è colpita da una disaffezione crescente: i politici sono in testa alle figure che gli italiani non vorrebbero vedere in una trasmissione televisiva (in terza posizione di questa “classifica a rovescio” si trovano, purtroppo, i religiosi!). Non si tratta certo ancora di un cambio di rotta, tuttavia è un indizio di una trasformazione che potrebbe avviarsi. Il fenomeno delle “sardine” può essere ricondotto a questo incipiente desiderio di svolta? Lo si vedrà col tempo. Sembrano confermare questa tendenza al cambiamento gli sforzi per una comunicazione più corretta e rispettosa: penso alla vasta eco che ha ottenuto il manifesto “Parole-o-stili” che traduce nel mondo dei social questa volontà di una comunicazione più umana. Anche il dato, certo ambiguo e preoccupante, che quasi il 50 per cento degli italiani desideri un “uomo forte al comando” può essere interpretato come un appello alla politica perché la smetta di accapigliarsi in beghe da conventicola e finalmente prenda decisioni e governi – aggiungiamo noi – per il bene dell’intera nazione.
Il Rapporto mette in luce altri indizi interessanti. Con linguaggio un po’ roboante il Censis parla del “furore di vivere” degli italiani. Il furore, che può sembrare qualcosa di negativo, in questo caso assume una valenza positiva: è il desiderio di vivere che spinge a trovare delle soluzioni ai problemi endemici della società italiana. Finché gli Italiani sapranno trasformare la loro ansia in furore, il Paese – nonostante tutti i suoi problemi – continuerà ad andare avanti. Questo furore, che – per usare un termine di moda – è capacità di resilienza, stando al Rapporto persiste e questo è decisamente un buon segnale. Altro dato sorprendente è la percezione di una rinnovata – seppur timida – fiducia nell’Europa: più del 60 per cento degli Italiani è a favore dell’Euro e vuole rimanere nella Comunità Europea, vedendo in questa appartenenza maggiori benefici rispetto ad un’eventuale Italexit (l’uscita dell’Italia dall’Europa). Sta tornando a crescere anche la fiducia in alcune categorie professionali, come i medici e i giornalisti, che in questi anni sono state screditate da alcuni settori dell’opinione pubblica. Un ulteriore elemento interessante è che complessivamente il sistema produttivo del Nord ha saputo reggere alla crisi del 2008 e può dire di esserne uscito. Mentre dal Sud la gente continua ad andarsene, il Milanese e l’Emilia (e il Veneto a poca distanza) riescono a trattenere meglio la popolazione e sono anche centro di attrazione ed aggregazione. Il Rapporto riconosce poi ai borghi e ai comuni italiani una salutare vivacità che continua ad animare il territorio e a tenere unite le comunità con mille iniziative: dai festival, agli eventi culturali, sino alle sagre paesane (più volte esplicitamente citate dal Censis!). Tanti indizi, quindi, di una società che cerca di reagire, un po’ inventando strategie di sopravvivenza e un po’ adattandosi, con quella creatività che tutti ci riconoscono ma anche con una certa dose di “italico” opportunismo. Il vento allora sta cambiando? Troppo presto per dirlo. Quello che può fare la differenza ora è una visione di futuro: avere un’idea sul domani, riconoscere una meta comune per tutto il Paese. Al momento sembra che questo manchi e sembra difficile che possa venire (solo) dalla politica. Forse verrà da altri settori, quelli più sani e più validi della nostra società: nonostante i tanti problemi, l’Italia è pur sempre la nazione dalle risorse sorprendenti.
(*) direttore “L’Azione” (Vittorio Veneto)