L’Ucraina, nei territori di conflitto nel Donbass, ha bisogno di vivere “una vera esperienza di riconciliazione altrimenti non se ne esce. Si tampona la situazione ma si conserva di fatto un cimitero a cielo aperto”. È questo l’augurio che da Kiev formula il nunzio apostolico, mons. Claudio Gugerotti, all’indomani del vertice di Parigi che ha riunito nella capitale francese insieme al presidente Emmanuel Macron e alla cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente russo Vladimir Putin e quello ucraino Volodymyr Zelensky. In quella occasione è stato siglato un accordo che prevede tra l’altro un nuovo scambio di prigionieri di entrambe le parti (la data stabilita è quella del 24 dicembre) e l’impegno a una piena e completa attuazione del cessate il fuoco. “Queste sono le decisioni immediate”, commenta subito il nunzio: “Ma c’è una cosa ancora più importante ed è l’impegno di rivedersi entro quattro mesi per verificare l’avanzamento degli accordi e questo impegno è una garanzia di continuità. Vuol dire che si vuole intraprendere un cammino e non soltanto limitarsi ad incontri che si consumano nell’atto in cui si celebrano”. Putin e Zelensky hanno avuto a Parigi per la prima volta un breve colloquio di circa 15 minuti. Gugerotti osserva: “Il clima interpersonale risulta più disteso. È chiaro che i punti di vista sono molti lontani; le interpretazioni degli accordi di Kiev sono distanti. Persistono diversità anche sul modo di concepire l’autonomia dei territori. Sono tutte cose che si devono definire ma siamo moderatamente positivi”.
Ciò che preoccupa è la situazione di vita nel Donbass. “Per quanto ci sia stata una descalation negli ultimi mesi quanto a intensità di perdite umana – racconta il nunzio -, è comunque una situazione di eterna precarietà. I bombardamenti continuano. La paura dei bambini rimane inalterata. Continua ad essere difficile reperire le medicine e il cibo, assicurarsi il riscaldamento”. E poi c’è il coprifuoco. Molti sono le persone anziane che devono attraversare il confine per andare a prendere la pensione in territorio ucraino. Devono aspettare ore ore sulla linea di controllo, all’aperto, anche a 25 gradi sottozero: “Una persona che muore di freddo al posto di blocco per andare a prendere la pensione non ha bisogno di sentirsi chiedere se è filo russa o filo ucraina, va salvata dalla morte”. Il nunzio è pragmatico: “O la guerra finisce – dice – oppure si tratta di ritocchi. Se prima la situazione era di estrema precarietà, ora è diventata patologica e la gente è prostrata”. Ad una donna il nunzio ha chiesto di che tipo di medicine avesse bisogno, così la prossima volta che tornava, gliele avrebbe portate. Ma lei ha risposto:
“Ormai prendo solo tranquillanti perché almeno dormo”.
“Non dimenticatevi di noi”. È il grido del Donbass, perché “qui non ci sono perdenti e vincenti. Qui la gente soffre e soffre senza avere vie di uscite. È andata perduta una generazione. La guerra ha distrutto una economia. Ha spazzato via ogni prospettiva futura per le famiglie. È un cancro che divora tutto”. All’Europa il nunzio chiede di essere “meno distratta” anche solo “per l’impegno morale che ha in quanto punto di riferimento al quale l’Ucraina si è rivolta scegliendo i valori europei. Una scelta che è costata carissima in termini di vite umane ed un altissimo prezzo economico”. L’Europa è coinvolta. Intanto perché ha un conflitto in atto che mette a rischio i suoi stessi confini, ma soprattutto perché – “e questa cosa va detta” – a combattere nel Donbass ci sono alcuni mercenari europei: italiani, tedeschi, francesi, americani.
“Quasi 13.000 morti, una vita di terrore che paralizza e fa sentire di vivere all’inferno. Certo ci si abitua a tutto: ma a che prezzo? Non facciamo spegnere la piccola luce che si è accesa!”.
Il nunzio parla di “uno stato di crisi permanente” che comporta il fallimento sistematico di gran parte delle industrie e la fuga di quasi due milioni di rifugiati in Ucraina. E aggiunge: “La domanda quindi vera è: noi europei ci facciamo veramente carico di una situazione che in qualche modo ci appartiene? Continuare a dire, “prima i nostri”, non può essere un criterio politico, non può essere un criterio etico. È la legge della giungla”. L’appello di Papa Francesco per l’Ucraina durante l’Angelus è stato accolto con grande emozione qui in Ucraina. La voce del Santo Padre per questa terra è forse l’unica a farsi sentire. Ed è una voce fedele e concreta. Con il Progetto “Papa per l’Ucraina”, avviato nel giugno 2016, si sono raccolti 16 milioni di euro, frutto della colletta realizzata in tutte le diocesi d’Europa e di una personale donazione del Santo Padre. Ma ci deve essere una volontà politica europea e regionale. E ai due leader Putin e Zelensky, il nunzio rivolge un appello. “Lo stesso che ha chiesto il papa il giorno prima dell’incontro di Parigi:
avviare un processo di riconciliazione vera e duratura, spronato da una reale volontà di pace, efficace, in grado di generare frutti per il bene delle popolazioni”.