X

Striscia di Gaza: il Natale vivente dei cristiani gazawi

Daniele Rocchi

“Alzo gli occhi e guardo verso i monti, da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore, egli ha fatto cielo e terra. A Gaza non ci sono monti ma abbiamo un grande cielo cui rivolgere lo sguardo”: recita il Salmo 120, uno di quelli detti delle ‘ascensioni’, padre Gabriel Romanelli, parroco latino di Gaza, pastore di una piccola comunità di 117 cattolici su due milioni di abitanti. È tempo di Natale, ma presepe, luci e i festoni restano tutte confinati dentro il compound della parrocchia.

Il parroco di Gaza, padre Romanelli

“Anche l’albero alto sei metri” si affretta ad aggiungere il parroco, “uno dei pochissimi qui nella Striscia. Fa bella mostra di sé dentro la chiesa dedicata alla Sacra Famiglia”. A Gaza c’è scarsità di acqua, di medicine, di servizi sociali, di energia elettrica, di lavoro, “si cerca di vivere come si può in un costante clima di tensione se non di guerra, e – sottolinea il parroco di origini argentine, da soli due mesi nella Striscia dopo 14 anni passati a Beit Jala – nonostante tutto c’è voglia e desiderio di fare festa”. Complice anche la visita di tre giorni (13-15 dicembre) dell’Amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa e della delegazione patriarcale. Per qualche giorno gli echi delle bombe, dei razzi e degli scontri che hanno costellato questo anno, oramai agli sgoccioli, sono stati coperti dai canti e dai jingle.

Stranieri in terra loro. Le visite natalizie a Gaza sono cominciate con il patriarca latino Michel Sabbah, oggi emerito, e da allora sia il suo successore, Fouad Twal che mons. Pizzaballa, hanno continuato questa tradizione. Il motivo di queste visite? Presto detto: “A molti fedeli – spiega il parroco – Israele non concede il permesso di uscire dalla Striscia per andare a pregare alla Natività di Betlemme, così i Patriarchi si recano a Gaza per celebrare il Natale e esprimere vicinanza concreta alla esigua minoranza cristiana”.

Quello del rilascio dei permessi da parte di Israele è “da tempo uno dei motivi di maggiore sofferenza dei cristiani gazawi” che, rimarca padre Romanelli, “si sentono discendenti di Gesù, al pari di quelli di Betlemme, Gerusalemme e dei Territori.

Sapere che non ci saranno i permessi per tutti li fa stare male. Vorrebbero sperimentare l’abbraccio della Chiesa. Si sentono quasi stranieri in terra loro”. Ma intanto ad abbracciarli è corso mons. Pizzaballa che “ci ha fatto sentire la vicinanza di tutta la Chiesa del Patriarcato e ci ha regalato un anticipo del Natale che verrà”. Mons. Pizzaballa, aggiunge il parroco, “ha potuto visitare le scuole cattoliche ricevendo gli auguri  dagli studenti cristiani e musulmani, entrare a casa di diverse famiglie dove ha ascoltato dalla loro viva le difficoltà di vivere continuamente in una zona di guerra e il desiderio di vivere in una terra dove ci sia libertà e giustizia. Ma soprattutto il desiderio di andare a Betlemme per Natale”.

Una comunità operosa. Tre giorni ricchi di eventi, in cui la comunità locale ha partecipato all’inaugurazione del nuovo centro sanitario della Caritas Gerusalemme e di alcuni ambienti del Centro “San Tommaso d’Aquino” dove i cristiani locali si formano a livello teologico e pastorale e studiano anche materie come informatica e inglese, “utili per trovare un lavoro nella asfittica economia gazawa”. “Nessuno è stato dimenticato, soprattutto malati, anziani e disabili – ci tiene a dire padre Romanelli -. In questo tempo di Avvento con i giovani e gli scout abbiamo fatto visita agli anziani e ai malati della Parrocchia portando loro dei piccoli doni. I sacerdoti hanno amministrato l’unzione degli infermi, benedetto le abitazioni e pregato spesso alla luce delle torce, per mancanza di energia elettrica”. Ma il servizio “agli ultimi” non si ferma qui: “i gruppi scout della chiesa cattolica e ortodossa hanno raccolto insieme abiti e indumenti con l’aiuto di altre associazioni e degli studenti delle tre scuole cattoliche di Gaza. Il tutto sarà donato ai più bisognosi dei quartieri periferici della Striscia, che sono tanti”.

12 comunioni e 4 cresime. “Domenica scorsa, 15 dicembre, abbiamo celebrato la messa di Natale, cominciando con una adorazione eucaristica e pregando l’Ufficio del mattino – racconta il parroco -. Durante la liturgia abbiamo celebrato anche 12 prime comunioni e quattro cresime e dato la benedizione agli studenti dell’ultimo anno delle superiori. La rappresentazione del presepio vivente ha suggellato questi giorni di festa in cui abbiamo assaporato la bontà del Signore. La comunità cristiana di Gaza, ci ha detto mons. Pizzaballa, ‘pur in mezzo a tante difficoltà non ha perso la speranza e la fiducia. Essa è attiva nel servizio al prossimo grazie anche ai preti e religiosi presenti, come le suore di Madre Teresa con il loro focolare di bimbi disabili e anziani che assistono con amore, quelle del Rosario che portano avanti la scuola, le sorelle e i fratelli sacerdoti del Verbo Incarnato e il loro servizio pastorale e catechistico che dura da oltre 10 anni. Di questo siamo orgogliosi”. In padre Romanelli vive anche la consapevolezza che “quanto accade a Gaza non dipende da noi ma da chi ci è intorno e da chi ha la responsabilità di prendere le decisioni. Così vediamo che l’aiuto non viene da nessuna parte”. Tornano ancora le parole del Salmo 120: “alzo gli occhi verso i monti da dove mi verrà il soccorso…

Preghiamo perché Gesù venga in nostro soccorso, imploriamo la sua venuta, perché Egli ci dà la forza. La nostra speranza è tutta riposta in Lui, che nasce come Luce del mondo, muore e risorge come riscatto dell’umanità intera. Questo è l’augurio che facciamo a tutti da Gaza. Lo ripeteremo ancora di più forte la notte di Natale quando ci uniremo spiritualmente con la grotta di Betlemme, vicina ma impossibile da raggiungere per molti”.

Redazione: