Così Michael Keating, docente di politica alle Università di Aberdeen e Edimburgo, e autore del volume “Rescaling the European State”, ovvero “Ribilanciare lo stato europeo”, commenta il voto a Westminster di ieri, con il quale il parlamento britannico ha deciso di fissare al 31 gennaio 2020 la data di uscita del Regno Unito dall’Unione europea senza prolungare il periodo di transizione oltre la fine di dicembre dello stesso anno. “Gli scozzesi, durante il referendum del 23 giugno 2019, nel quale il 52% dei votanti ha scelto di lasciare la Ue, hanno votato per rimanere dentro l’Europa e questa maggioranza è andata aumentando da allora.
Oggi ben il 67% degli abitanti a nord del vallo di Adriano è per il ‘Remain’ mentre in Inghilterra prevale il ‘Leave’”, spiega l’esperto: “Per questo motivo la leader nazionalista scozzese Nicola Sturgeon chiede, con insistenza, un secondo referendum sull’indipendenza di questa regione del Regno Unito”.
“A sostenere sia l’indipendenza della Scozia che l’appartenenza all’Europa sono poi il 40-45% degli scozzesi, mentre soltanto il 25% vuole andarsene e rimanere dentro il Regno Unito”, continua l’esperto. “Due percentuali che corrispondono la prima all’elettorato del partito nazionalista scozzese Scottish National Party e la seconda ai sostenitori del partito conservatore di Boris Johnson. È importante notare che gli indipendentisti sono aumentati del 5% dall’ultimo referendum del 2014 proprio per effetto di Brexit. Ovvero più la prospettiva di lasciare l’Europa diventa reale più gli scozzesi vogliono andarsene dal Regno Unito”.
Secondo Keating, tuttavia, un secondo referendum non è possibile prima di maggio 2021, quando si terranno le elezioni per il parlamento scozzese, e, anche allora, non è detto che questa regione del Regno Unito potrà separarsi.
“Il premier Boris Johnson farà di tutto per non concedere questo secondo referendum e anche per la leader nazionalista scozzese la strada verso l’indipendenza è in salita. Una Scozia autonoma comporterebbe un confine con l’Inghilterra con la quale gli scambi commerciali sono molto intensi. Non solo. Edimburgo ha un deficit più ampio di quello di Londra dalla quale dipende per sovvenzionare il proprio sistema di welfare più costoso rispetto a quello del resto del Regno Unito ed esiste anche il problema di quale moneta adottare se gli scozzesi non vogliono più la sterlina”.