“La capanna di Gesù in primo piano e sullo sfondo il palazzo di Erode. Il nostro posto è vicino alla grotta del Salvatore, davanti a lui che nasce e non nel palazzo del re Erode. Siamo con la gente che ha paura, che è povera, che ha freddo, ha fame. Siamo con i nostri fratelli siriani che soffrono dopo lunghi anni di una guerra che non accenna a finire”.
Il Natale dei villaggi cristiani nella valle dell’Oronte, Knayeh, Yacoubieh e Gidaideh, padre Hanna Jallouf, 66 anni, francescano siriano della Custodia di Terra Santa, lo racconta così: descrivendo al Sir il presepe posto ai piedi dell’altare della sua chiesa di san Giuseppe a Knayeh, dove è parroco. Un modo concreto per fare proprio l’appello di Papa Francesco a riscoprire questo “segno semplice e mirabile” che manifesta “il grande mistero della nostra fede” in un mondo che “cancella i segni cristiani”. Insieme al confratello Luai Bsharat, sono gli unici religiosi cristiani rimasti in queste zone.
Siamo nella zona di Idlib, nord della Siria, ultimo bastione degli oppositori al presidente siriano Assad e dei terroristi islamisti del fronte Hayat Tahrir al-Sham (gruppo jihadista affiliato ad Al-Qaeda ed erede del più conosciuto Jabhat Al Nusra). Qui si sta combattendo, probabilmente, la battaglia finale tra l’esercito del presidente Assad, affiancato da russi e iraniani, e i suoi oppositori armati molti dei quali stranieri. Le truppe siriane stanno bombardando per cercare di prendere il controllo dell’autostrada che collega la capitale Damasco con Aleppo, e quest’ultima con Latakia. Le milizie jihadiste del gruppo Tahrir al-Sham, sostenute dalla Turchia, rispondono al fuoco. A farne le spese ancora una volta la popolazione civile: decine di migliaia i siriani, in maggioranza donne, anziani e bambini, in fuga dopo aver abbandonato le proprie abitazioni. Gli aiuti umanitari arrivano con fatica e le condizioni di vita della gente peggiorano giorno dopo giorno complice anche il freddo e l’aumento del costo del carburante, causato dalle sanzioni internazionali, che si riflette sui prezzi dei beni essenziali come cibo e medicine. In questo fronte di guerra vivono oggi circa 210 famiglie cristiane, ripartite nei tre villaggi della Valle che prima della guerra, cominciata nel 2011, avevano in tutto oltre 5000 abitanti. “Oggi – dice padre Hanna – siamo rimasti in 700. Sono tutti fuggiti a causa della guerra.
Speriamo di vivere il Natale con un pizzico di serenità. Me lo auguro soprattutto per i più piccoli che sono coloro che stanno pagando il prezzo più alto della guerra”.
Senza luci ma con la Luce. Ed è proprio ai bambini che quest’anno il parroco ha pensato in maniera particolare. “Il Natale è la loro festa – dice padre Hanna -. Ognuno di loro riceverà in dono un presepe da portare in casa. Si tratta di piccoli presepi realizzati a mano che saranno anche esposti in una piccola mostra allestita dentro i locali parrocchiali. Abbiamo organizzato delle feste in cui regaleremo loro anche qualche giocattolo, dolci e vestiti. Sono gesti semplici che qui però valgono moltissimo. Significa infatti ri-assaporare un po’ di serenità, donare qualche sorriso, e ritrovarsi insieme uniti in Gesù”.
“Saranno questi gli unici segni visibili della nostra fede che non possiamo esprimere all’esterno perché ci è vietato. È per questo motivo che le nostre chiese non hanno le croci sui tetti. Non ci saranno nemmeno luminarie e alberi a dare luce al nostro Natale. Nemmeno una candela sul davanzale delle nostre case”.
I divieti non impediranno alle famiglie cristiane di ritrovarsi in chiesa. “L’appuntamento per tutti – spiega padre Hanna – è per il 24 dicembre alle 17 per la messa di Natale e alle 9.30 del mattino del giorno dopo. Il mio confratello, padre Luai, invece, celebrerà a Yacoubieh il 24 alle ore 16 e il 25 alle ore 9. I fedeli di Gidaideh verranno per le messe a Knaye. Nel loro villaggio non hanno una chiesa dove celebrare.
Molte chiese, infatti, sono state trasformate in stalle”.
La grotta e il palazzo. La scelta, ancora una volta, anche per questo Natale è tra la grotta del Bambino e il Palazzo di Erode. “Il nostro cuore è pesante – ammette padre Hanna – perché in tanti anni di guerra abbiamo visto gente uccisa, rapita, ferita, case distrutte ma restiamo saldi nella speranza che un giorno tutto questo finirà, che saremo liberati dall’unico Salvatore che è Cristo. Cristo è la nostra ancora di salvezza.
Siamo vittime di una guerra che nessuno vuole.
Per questo preghiamo per la pace in Siria, per tutti i siriani, per la pace anche interiore, necessaria per sostenere le difficoltà del momento”. Poi una preghiera particolare: “Preghiamo anche per voi che siete in Occidente che vivete questa guerra in maniera indiretta. Preghiamo per tutte le vittime provocate da attentati compiuti sul vostro suolo”. “Non suoneremo campane, non accenderemo luci, ma faremo risuonare nelle messe di Natale il messaggio di speranza di Cristo, l’unico di cui possiamo fidarci”.
“Abbiamo visto passare tanti finti salvatori – conclude padre Hanna – Gesù invece resta e il suo regno di pace è per sempre. In lui anche la sofferenza di questi anni trova un senso. Siamo nella terra di san Paolo che ci esorta a sperare contro ogni speranza. Buon Natale”.