“Che male può fare un bambinello di gesso? È così fragile e indifeso che non minaccia nessuno. Eppure la storia sembra ripetersi. Forse un atto di spavalderia di fronte agli amici oppure un gesto pensato e voluto per offendere quelli che venerano e ricordano in questi giorni il bambino di Betlemme o piuttosto un segno di fastidio per il Natale di Gesù, che nonostante tutti i surrogati non si riesce a cancellare?”. Così mons. Roberto Carboni, arcivescovo di Oristano e amministratore apostolico della diocesi di Ales-Terralba, alla quale appartengono le parrocchie del Comune di Arbus, commenta l’atto vandalico della decapitazione del Bambino Gesù del presepe allestito davanti alla chiesa di San Sebastiano. “In fondo – prosegue il vescovo -, nonostante la tristezza che suscita quel gesto, non mi meraviglio. La sindrome di Erode è dura a morire e talvolta, nascosta, convive dentro di noi, anche dei credenti. La paura di perdere il potere ha alimentato il timore del re e gli ha fatto programmare la strage degli innocenti. Forse in noi la paura si traveste da intolleranza o forse solo di rifiuto a confrontarci con il muto messaggio che quel piccolo bambino ci offre, suscitando domande difficili”.
Secondo mons. Carboni, “un presepe all’aperto è sempre una sfida. Tra chi pensa di doversi fidare e lascia il bambinello, Maria e Giuseppe difesi solo dalla loro povertà e altri che voglio mostrare il loro potere e la loro forza. Non è nuova la storia. Accogliere la sfida fa parte della vita stessa di Gesù di Nazareth, che non vuole imporsi, ma proporsi, offrirsi, anche a coloro che pensano di farlo tacere con la violenza”.
“Chissà se il povero bambinello di gesso riuscirà ad arriverà alla fine del tempo natalizio, nonostante i rattoppi e le aggiustature, oppure sarà ancora oggetto di violenza e tante volte dovrà essere incollato di nuovo. Ma in fondo – conclude il vescovo – è una metafora della vita di tanti cristiani tra persecuzioni e speranza”.

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