L’arcivescovo si sofferma in particolare sulla figura di Giuseppe, “chiamato a custodire la vita di Gesù, ma di fronte a questo compito è debole, impotente. Si trova a fronteggiare, infatti, nientemeno che il re Erode, che aveva deciso di far morire tutti i bambini di Betlemme, ed è evidente che il confronto lo vede perdente in partenza”. Ecco, dunque, continua mons. Pizzaballa, “di nuovo un sonno e di nuovo un sogno. Spesso i momenti decisivi della relazione tra Dio e l’uomo sono segnati dal sonno: basta pensare al primo sonno, quello di Adamo, in cui Dio ha potuto trarre Eva dalla sua costola. O al torpore che scende su Abramo, quando Dio stipula con lui la sua alleanza.
Il sogno è quel momento della vita in cui l’uomo si lascia fare, si fida; ed è quel momento in cui, proprio perché l’uomo si lascia fare, Dio lo può portare oltre le proprie capacità, gli può affidare un compito importante, spesso decisivo perché il cammino dell’alleanza possa proseguire. Nel sonno, l’angelo dà a Giuseppe indicazioni precise (Mt 2,13), e chiede un’obbedienza totale. E Giuseppe si fida, si fa condurre, obbedisce. Chi ascolta, chi obbedisce, non ha altro da fare che questo: alzarsi. Alzarsi, e poi mettersi in cammino, e il cammino è quello dell’obbedienza, attraverso cui passa la salvezza”. “Altri sogni – conclude mons. Pizzaballa – verranno a visitare le notti di Giuseppe, e di nuovo indicheranno cammini e mete; e ogni volta, di nuovo, Giuseppe si alzerà e si metterà in cammino. Anche da Lui, Gesù imparerà proprio questa obbedienza mite, questo umile mettersi in cammino illuminati dalla Parola di un Dio che dà la vita e che la custodisce”.