di M.Michela Nicolais
Dall’incontro tra Francesco e il Sultano, che risale ad 800 anni, fa al Documento sulla fratellanza umana firmato proprio nel febbraio di quest’anno dal primo Papa della storia a scegliere di portare il nome del “Poverello di Assisi”. È il viaggio che percorrono padre Enzo Fortunato, direttore della Sala Stampa del Sacro Convento di Assisi e del mensile San Francesco patrono d’Italia, e Piero Damosso, giornalista Rai, nel volume “Francesco e il sultano. 800 anni da un incredibile incontro”, pubblicato da San Paolo.
L’incontro tra San Francesco e il sultano Malik al-Kamil, sul delta del Nilo, presso la città di Damietta, avvenne davvero, anche se il contenuto del dialogo non ci è noto, testimonia padre Fortunato: “Che si siano incontrati è sicuro: molte testimonianze tra loro indipendenti lo affermano. Che cosa si siano detti, rimarrà per sempre un mistero”. Quel che è certo è che, nel loro dialogo, la politica e la diplomazia non sono entrati: “Ma allora, di che parlarono? Di Dio. Del Dio onnipotente, che è Allah clemente e misericordioso. Del Dio comune di ebrei, cristiani e musulmani. E di quel che Francesco, tornato in Italia, cercò di precisare nella Regola a proposito dei rati che vanno tra gli infedeli: non attaccare nessuno, non polemizzare, ma restare umili e riservati testimoniando Gesù Cristo”.
“Questa non è diplomazia, ma misericordia”, commenta padre Enzo, che poi lancia un messaggio preciso per l’oggi: “Una diplomazia senza misericordia è solo tattica, se non inganno e malafede. Forse, quanto meno in una certa misura, il mondo d’oggi va tanto male proprio perché la diplomazia dimentica sempre la misericordia”. Un incontro proficuo, quello tra Malik-al-Kamil e Francesco, un mutuo accrescimento, un apprendimento reciproco. A distanza di otto secoli, secondo padre Fortunato, “è ancora questa la profezia per il futuro, una profezia alla quale sono chiamati, in primo luogo, tutti i figli di Abramo – ebrei, cristiani e musulmani – e tutti i credenti in Dio. Una via che chiede rispetto reciproco, accoglienza, conoscenza dell’altro: una via che ricerca la verità attraverso il confronto e il dialogo, aborrendo ogni forma di violenza”.
“Io penso, Signore, che tu ne abbia abbastanza della gente che parla di servirti con un piglio a condottiero, di conoscerti con aria da professore, di amarti come si ama in matrimonio invecchiato”.
Padre Enzo sceglie le parole di una donna, la mistica francese Madeleine Delbrél, per sintetizzare la spiritualità francescana, all’insegna della pace, della fraternità e del rispetto reciproco. “Un giorno in cui avevi voglia d’altro – scrive Delbrél rivolgendosi direttamente a Dio – hai inventato san Francesco e ne hai fatto il tuo giullare. Lascia che anche noi inventiamo qualcosa per gente allegra che danza la propria vita con te”. Ottocento anni dopo, il Papa venuto “dalla fine del mondo”, subito dopo la sua elezione, ha spiegato di aver scelto il nome di Francesco perché “è l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il Creato, in questo momento in cui noi abbiamo con il Creato una relazione non tanto buona. È l’uomo che ci dà questo spirito di pace, l’uomo povero”. È in questo percorso pedagogico, dettato dalla spiritualità francescana, che si inseriscono le recenti tappe del dialogo cristiano sostenute da Papa Francesco, Benedetto XVI e San Giovanni Paolo II, per arrivare alla Dichiarazione di Abu Dhabi sulla fratellanza umana del 2019, documento che Bergoglio consegna a tutti i capi di Stato che riceve in udienza.