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Futuro dell’Europa. Punti fermi e interrogativi sulla Conferenza Ue

Gianni Borsa

Prende forma – non senza generare dubbi e interrogativi – la Conferenza sul futuro dell’Europa, pensata per rispondere alla crisi Ue, ponendosi in ascolto dei cittadini e prefigurando qualche riforma a regole e istituzioni comunitarie. La Commissione Ue ha pubblicato, mercoledì 22 gennaio, le proprie proposte sulla conferenza, dopo che il Parlamento di Strasburgo lo aveva fatto il 15 gennaio e in vista di una decisiva riunione, il 28 gennaio, del Consiglio dei ministri Ue.

Centralità dei cittadini. “Le persone devono essere al centro di tutte le nostre politiche. Il mio desiderio è che tutti gli europei contribuiscano attivamente alla Conferenza sul futuro dell’Europa e svolgano un ruolo guida nella definizione delle priorità dell’Unione europea. È solo insieme che possiamo costruire la nostra Unione di domani”. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione, tra i maggiori fautori della conferenza, insiste sulla centralità dei cittadini.Il documento reso noto a Bruxelles – che conferma tutte le anticipazioni fornite il 20 gennaio dal Sir – specifica che tale conferenza dovrebbe essere “battezzata” in occasione della Giornata dell’Europa, il 9 maggio 2020, a Dubrovnik(la Croazia regge la presidenza semestrale del Consiglio dei ministri Ue) e durare due anni. La data prescelta corrisponde ai 70 anni della Dichiarazione Schuman, che avviò il processo di integrazione europea, e ai 75 anni dalla fine della seconda guerra mondiale.

Priorità politiche e riforme. La Conferenza sul futuro dell’Europa “consentirà un dibattito aperto, inclusivo, trasparente e strutturato con cittadini di diversa provenienza e di ogni estrazione sociale”: Dubravka Šuica (nella foto), vicepresidente della Commissione con il portafoglio per la democrazia e la demografia, ha avuto il compito di illustrare nella sala stampa del palazzo Berlaymont la “comunicazione” dell’esecutivo. La Commissione propone in sostanza due “filoni di lavoro paralleli” per i dibattiti. “Il primo dovrebbe riguardare le priorità dell’Unione e ciò che essa dovrebbe cercare di raggiungere: lotta ai cambiamenti climatici e sfide ambientali, economia al servizio delle persone e delle famiglie, equità sociale e uguaglianza, trasformazione digitale, promozione dei valori europei, rafforzamento della voce Ue nel mondo”. La seconda fase dovrebbe concentrarsi “sull’affrontare temi specificamente connessi ai processi democratici e alle questioni istituzionali”: in particolare il sistema elettorale europeo (comprese le liste transnazionali); l’iter per la scelta del capo della Commissione (Spitzenkandidaten); il voto a maggioranza qualificata in Consiglio, superando la regola dell’unanimità; l’iniziativa legislativa al Parlamento anziché alla Commissione.

“Occasione unica”. Šuica spiega: “la Conferenza sul futuro dell’Europa è un’occasione unica per riflettere con i cittadini, ascoltarli, impegnarsi, rispondere e spiegare”. L’intenzione è di “rafforzare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni Ue. Questa è la nostra opportunità per mostrare alle persone che la loro voce conta in Europa”. Ma la conferenza produrrà veri risultati o si fermerà alle chiacchiere? “Se non fossimo in grado di raggiungere risultati concreti, a vantaggio dei cittadini, sarebbe meglio non iniziare nemmeno”.“Non vogliamo continuare a fare ciò che si è fatto finora – argomenta –, occorre mettersi in ascolto dei cittadini e rispondere alle loro richieste”.La Commissione propone, di fatto, una conferenza “guidata” da Bruxelles, con varie riunioni nel corso dei prossimi mesi, che però raggiunga, attraverso vari tipi di eventi, tutti i Paesi europei, “specialmente quelle regioni nelle quali registriamo le maggiori diffidenze verso l’Unione”. Ma lei crede davvero nel successo della conferenza? – chiede il cronista. “Certo, ci credo, altrimenti non sarei qui. So che in passato esperienze simili hanno fallito perché non si è passati dalle proposte a vere riforme, alle novità che interessano i cittadini”.

Punti di domanda. La Commissione vede la conferenza come un “forum dal basso verso l’alto”, accessibile, trasparente: una piattaforma online multilingue garantirà la trasparenza del dibattito e dovrebbe sostenere una più ampia partecipazione. Altre istituzioni dell’Ue, parlamenti nazionali, parti sociali, autorità regionali e locali e società civile sono invitati a partecipare. Peccato che non siano esplicitamente menzionate le Chiese e le comunità religiose, peraltro riconosciute dall’art. 17 del Trattato di Lisbona. Ma questo è solo il primo nodo da sciogliere. Ci si chiede infatti se le “agorà dei cittadini” e le “agorà dei giovani”, che affiancheranno e contribuiranno allo svolgimento della Conferenza sul futuro dell’Europa, saranno veramente ascoltate.E, nel complesso, la convention – della forse eccessiva durata di due anni – saprà davvero immaginare il futuro dell’Europa, con un orizzonte di 10, 20 o 30 anni?Saprà costruire risultati tangibili ed evidenti per i cittadini, così da far tornare loro la “voglia” e il “sogno” dell’Europa unita? E se i cittadini domandassero, nelle loro “agorà”, “meno” e non “più” Europa? (con l’aria euroscettica e nazionalista che circola non è impossibile prevederlo…). E se, per rilanciare il processo di integrazione, si manifestasse la necessità di rivedere i trattati, con le relative, complicatissime e rischiose procedure di scrittura e ratifica, i governanti dei Paesi Ue ci metterebbero la faccia per convincere i loro parlamenti e gli stessi cittadini che quella è la strada giusta?