È trascorso circa un anno. Il 23 gennaio 2029 Juan Guaidó, da poche settimane eletto presidente dell’Assemblea nazionale, si autoproclamava presidente ad interim del Venezuela, considerando nulla la vittoria di Nicolás Maduro in occasione delle presidenziali “farsa” che si erano svolte poche settimane prima. Nel giro di qualche ora, Guaidó venne riconosciuto da numerosi Paesi, a cominciare dagli Stati Uniti. Sembrava l’inizio della spallata. Maduro, in effetti, vacillò, sull’onda delle pressioni internazionali e della moltitudine che a più riprese scese in piazza con manifestazioni oceaniche in tutte le principali città del Paese. Ma le cose non sono andate così. L’Esercito non ha abbandonato il presidente chavista. Maduro è ancora in sella, il popolo continua a soffrire la fame e sta sempre peggio. L a cifra di coloro che hanno lasciato il Paese è arrivata a sfiorare i 5 milioni. E lo stesso Guaido ha rischiato di avvitarsi in un lento processo di logoramento, dal quale si è sottratto solo negli ultimi giorni quando, nonostante il blitz del Governo, è riuscito a farsi rieleggere presidente del Parlamento, riprendendo in modo più solido la guida dell’opposizione, che in questi anni si è spesso segnalata per le sue divisioni. Non a caso, subito Guaidó è tornato nel mirino del regime. Quale bilancio, dunque, tracciare di quest’anno? E come uscire da una situazione che sembra bloccata? Il Sir lo ha chiesto a una delle voci più ascoltate nel panorama culturale ed ecclesiale venezuelano, padre Luis Ugalde, gesuita, già rettore dell’Università Cattolica Andrés Bello, storico e teologo. “A volte quello che non succede in tanti mesi – dice – accade in pochi giorni”. Insomma, il “cambiamento” più volte invocato anche dai vescovi, potrebbe anche essere dietro l’angolo anche se, stando ai fatti, “ci vuole pazienza”. Ma “la sconfitta del regime è inevitabile”.
Ci troviamo in questa situazione: il Governo non accetta di andare a elezioni presidenziali, semmai quelle parlamentari. D’altra parte, per avere il cambiamento è fondamentale andare proprio alle elezioni presidenziali. In questo momento il Venezuela è privo di un presidente regolarmente eletto.
Maduro sa benissimo che, in caso di elezioni regolari, verrebbe sconfitto, dato che secondo alcune inchieste addirittura l’84% della popolazione chiede un cambio. Insomma, non è possibile pensare a un dialogo senza mettere in discussione il presidente, che però non ne vuole sapere.
Cosa le fa dunque pensare che qualcosa possa cambiare?
Negli ultimi tempi si sono verificati alcuni fatti nuovi. Anzitutto, quello che è accaduto all’Assemblea nazionale. Maduro ha cercato di eliminare l’opposizione, alcuni deputati li ha arrestati, altri li ha comprati, ha tentato il blitz. Ma nonostante il Parlamento sia stato in pratica militarizzato, l’operazione non è riuscita. Alla fine Guaidó è stato rieletto ed è uscito rafforzato. Inoltre, negli stessi giorni si è tenuta l’assemblea della Conferenza episcopale venezuelana, durante la quale Guaidó è stato ricevuto per due ore, come unica istituzione legittima attualmente esistente in Venezuela, ed è stato diffuso un messaggio molto forte e importante da parte dei vescovi, che rappresentano l’istituzione che gode del maggior livello di fiducia tra i cittadini venezuelani. Ora, altra via d’uscita non c’è: bisogna “obbligare” il Governo ad accettare le elezioni presidenziali, in modo non violento. La via d’uscita dev’essere pacifica.
E come fare per raggiungere questo risultato?
Il Governo dev’essere obbligato dal Paese e dal mondo intero. Prima o poi succederà, perché risulta ormai evidente a tutti che in Venezuela non è possibile alcun futuro con questo regime. Dei passi in avanti si stanno facendo. Nel mondo sono rimasti con Maduro la Russia, Cuba, il Nicaragua… Gli stessi cinesi sono più realisti, pensano soprattutto ai loro interessi. Nel paese il Governo ha contro oltre l’80 per cento della popolazione. Si regge solo grazie alle Forze armate con l’aiuto di Cuba. Anche nell’Esercito, tuttavia, c’è un malessere molto profondo. Nel frattempo, l’inflazione è terribile e continua a crescere, entro il 2020 si prevede che saranno 6 milioni i venezuelani che hanno abbandonato il Paese.
Non c’è nessuna possibilità di riattivare l’economia, la ricchezza del Paese si è ridotta di oltre la metà rispetto al 2013. Il Governo finge unità, ma è solo di facciata.
Lei accennava alla volontà del popolo venezuelano. Ma le manifestazioni convocate dall’opposizione hanno visto scendere il numero dei partecipanti, rispetto alle prime, di un anno fa. Come mai?
Io penso che il malessere del popolo stia aumentando, ma qui si rientra nel campo dei costi e dei benefici. Se partecipo alle marce e non ottengo nulla, smetto di andarci. Ma resto convinto che tutto questo possa cambiare in un attimo. Basta che mutino le circostanze e la gente tornerà in strada. In questo momento, non se ne vede l’utilità. Certo, la situazione resta complessa e serve tempo. Ma la conclusione è inevitabile.
In tutto questo il ruolo della Chiesa resterà centrale?
Sì, come accennato essa gode di una fiducia diffusa, del 70% della popolazione. Da un lato è impegnata nell’aiuto umanitario, con tantissime iniziative, anche se si fa fatica a fare fronte a tutte le necessità. Dall’altro c’è una denuncia ferma e lucida sulla realtà del Paese, come si è visto dal recente messaggio diffuso al termine dell’assemblea plenaria, che è stato approvato all’unanimità. Credo che l’episcopato anche quest’anno manterrà ferma la propria posizione, nella richiesta di un cambiamento che deve però avvenire con mezzi pacifici, non violenti.