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Papa all’udienza: “La solitudine e l’infelicità nascono dal bisogno di essere qualcuno”

M.Michela Nicolais

“Bisogna essere qualcosa nella vita, essere qualcuno… Bisogna farsi un nome… È da questo che nasce la solitudine e l’infelicità”. Ne è convinto il Papa, che ha dedicato l’udienza di ieri alla prima delle otto Beatitudini del Vangelo di Matteo: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”. “Se io devo essere ‘qualcuno’, sono in competizione con gli altri e vivo nella preoccupazione ossessiva per il mio ego”, ha fatto notare Francesco: “Se non accetto di essere povero, prendo in odio tutto ciò che mi ricorda la mia fragilità”. “Perché questa fragilità impedisce che io divenga una persona importante, un ricco”, ha aggiunto a braccio: “Non solo di denaro, di fama, di tutto”. Il significato della parola “poveri” non è “semplicemente economico”, ha puntualizzato il Papa, ricordando che “lo spirito, secondo la Bibbia, è il soffio della vita che Dio ha comunicato ad Adamo: è la nostra dimensione più intima, diciamo la dimensione spirituale, quella che ci rende persone umane, il nucleo profondo del nostro essere”. “Allora i ‘poveri in spirito’ sono coloro che sono e si sentono poveri, mendicanti, nell’intimo del loro essere”, ha proseguito Francesco: “Quante volte ci è stato detto il contrario!”.

“Ognuno, davanti a sé stesso, sa bene che, per quanto si dia da fare, resta sempre radicalmente incompleto e vulnerabile”, l’analisi del Papa: “Non c’è trucco che copra questa vulnerabilità. Ognuno di noi è vulnerabile dentro”.

“Ma come si vive male se si rifiutano i propri limiti!”, ha esclamato Francesco: “Si vive male, non si digerisce il limite”. Le persone orgogliose non chiedono aiuto, non ci riescono “perché devono dimostrarsi autosufficienti”. “Quanto è difficile ammettere un errore e chiedere perdono!”, ha evidenziato il Papa, ricordando “le tre parole magiche: permesso, grazie, scusa”, che affida agli sposi novelli: “Sono parole che vengono dalla povertà”; la più difficile, confessano gli sposi, è proprio la terza. “Il Signore mai si stanca di perdonare; siamo noi purtroppo che ci stanchiamo di chiedere perdono”, ha ribadito Francesco:

“La stanchezza di chiedere perdono: ma questa è una malattia brutta!”,

ha osservato a braccio.

“Non dobbiamo trasformarci per diventare poveri in spirito, non dobbiamo fare alcuna trasformazione, perché lo siamo già: siamo poveri, siamo dei poveracci in spirito, abbiamo bisogno di tutto! Siamo tutti poveri in spirito, mendicanti. È la condizione umana”. È la sintesi della prima Beatitudine.

“Ci sono quelli che hanno i regni di questo mondo: hanno beni e hanno comodità. Ma sono regni che finiscono”, ha spiegato il Papa. “Il potere degli uomini, anche gli imperi più grandi, passano e scompaiono”,

il monito di Francesco, che ha proseguito a braccio: “Tante volte vediamo nel telegiornale o sui giornale che quel governante forte, potente, quel governo è caduto: ieri c’era, oggi non c’è. Le ricchezze di questo mondo se ne vanno, anche il denaro. I vecchi ci insegnavano che il sudario non aveva tasche. Nessuno si porta nulla. Queste ricchezze rimangono qui”. “Regna veramente chi sa amare il vero bene più di sé stesso”, la ricetta del Papa: “Questo è il potere spirituale, questo è il potere di Dio”. Gesù “si è mostrato potente” perché “ha saputo fare quello che i re della terra non fanno: dare la vita per gli uomini”. “Questo è vero potere”, ha commentato Francesco ancora fuori testo: “Potere della fratellanza, potere della carità, potere dell’amore, potere dell’umiltà. Questo ha fatto Cristo. In questo sta la vera libertà.

Chi ha questo potere dell’umiltà, del servizio, della fratellanza è libero.

A servizio di questa libertà sta la povertà elogiata dalle Beatitudini. Perché c’è una povertà che dobbiamo accettare, quella del nostro essere, e una povertà che invece dobbiamo cercare, quella concreta, dalle cose di questo mondo, per essere liberi e poter amare”. “Sempre cercare la libertà del cuore, quella che ha le radici nella povertà di noi stessi”, l’invito finale.

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