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Gli Oscar 92 battono bandiera sudcoreana

Sergio Perugini

Sembrava quasi tutto scritto. E per certi versi è stato anche così durante l’elegante, ma poco briosa, 92ª cerimonia degli Oscar, nella notte tra 9 e 10 febbraio a Los Angeles. In chiusura di premiazione, però, ecco arrivare grandi sorprese: la Corea del Sud, con il suo potente film “Parasite”, si è imposta sui super favoriti “Joker”, “1917”, “The Irishman” e “C’era una volta a… Hollywood” prendendosi le statuette per miglior film e regia. Il film ha ottenuto anche quelle per miglior film internazionale e sceneggiatura. Gli altri premi della serata sono andati invece quasi tutti secondo copione.

Il ruggito della Corea partito da Cannes

È stata la veterana Jane Fonda a consegnare la statuetta per il miglior film a “Parasite” di Bong Joon Ho, tra lo stupore e il giubilo di Hollywood. Al film sudcoreano, Palma d’oro al Festival di Cannes nel 2019, è andato il premio più importante dell’industria del cinema a stelle e strisce. Bong Joon Ho, trionfatore anche nella categoria regia davanti a Martin Scorsese, Sam Mendes (il grande favorito), Todd Phillips e Quentin Tarantino, ha esclamato visibilmente sconvolto: “Vorrei una motosega per tagliare questo Oscar e dividerlo con voi colleghi”. L’autore ha poi omaggiato direttamente Scorsese – “Ho studiato tutti i tuoi film!” – e a quel punto la sala del Dolby Theatre ha risposto con una vibrante standing ovation al regista newyorkese, un bel tributo nonostante Scorsese esca sonoramente sconfitto con il suo “The Irishman”, zero premi da 10 candidature; stessa sorte avuta ai Golden Globe.

Hollywood incorona Phoenix e Zellweger

Cosa è andato come da previsione? Di certo i premi per le categorie attori, protagonisti e non. Iniziamo da Joaquin Phoenix, che riesce ad alzare al cielo finalmente la sua prima statuetta dopo quattro tentativi (i primi tre per “Il gladiatore”, “Walk the Line” e “The Master”). La sua strabiliante performance in “Joker” aveva colpito tutti alla 76a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia, dove il film ha ottenuto il Leone d’oro. Accogliendo il premio da Olivia Colman, l’attore si è lanciato in un discorso a favore delle persone e delle cause che purtroppo non hanno voce, esortando i suoi colleghi a usare bene la loro visibilità. Con un filo di emozione, Phoenix ha dichiarato: “Sono stato uno scandalo nella mia vita, ho fatto tanti errori, sono stato un cattivo collega, ma ringrazio tante persone in questa sala perché ho potuto avere una seconda opportunità. È il bello dell’umanità”. Il pensiero finale è andato al fratello River Phoenix, attore morto nel 1993.
Grande riscatto poi per Renée Zellweger, finita un po’ nell’ombra nell’ultimo decennio, che si riprende così la scena a Hollywood con la sua toccante performance in “Judy”, biopic sulla diva Judy Garland. La Zellweger vince il suo secondo Oscar (il primo come non protagonista per “Ritorno a Cold Mountain” nel 2004) e lo dedica “ai tanti eroi del quotidiano lontani dai riflettori, ma soprattutto alla memoria di Judy Garland che non ha ricevuto questo onore a suo tempo. Signora Garland, lei è stata un’eroina che ha avuto la capacità di unirci e ispirarci”.
Tutto prevedibile, come ai Golden Globe, anche per i non protagonisti. Brad Pitt vince per “C’era una volta a… Hollywood”; è il suo primo Oscar come attore, il secondo come produttore. Anche per lui, da poco uscito dalla riabilitazione per problemi con alcool, è un bel momento di riscatto. Attrice non protagonista è la bravissima Laura Dern per “Storia di un matrimonio”.

“Toy Story 4” miglior animazione. E poi i premi tecnici

Miglior film d’animazione è “Toy Story 4” della Disney. La casa di Topolino era stata snobbata ai Golden Globe, dove aveva vinto l’outsider “Missing Link” (mai uscito in Italia). Gli Oscar, si sa, sono però la seconda casa della Disney e così tutto torna come da routine. Vittoria piena. E se “Parasite” vince la statuetta per la sceneggiatura originale, il miglior copione non originale è di “Jojo Rabbit” di Taika Wititi, che dedica il premio ai bambini indigeni in cerca di riscatto.
Raffica di statuette tecniche: miglior scenografia per “C’era una volta a… Hollywood”; costumi quelli di “Piccole donne” (Jaqueline Durran, già vincitrice per “Anna Karenina” nel 2013); trucco e acconciatura per “Bombshell. La voce dello scandalo” (nelle sale a marzo). Ancora, il film di Sam Mendes “1917” si aggiudica: fotografia (di Roger Deakins, già vincitore per “Blade Runner 2049”), effetti speciali e sound mixing. “Le Mans ‘66” (“Ford vs Ferrari”) conquista montaggio e montaggio sonoro.
La colonna sonora dell’anno è quella di “Joker” dell’islandese Hildur Guonadottir, autrice anche delle musiche della miniserie evento “Chernobyl”. La canzone originale è “(I’m Gonna) Love Me Again” di Elton John e Bernie Taupin dal film “Rocketman”. Infine, il miglior documentario è “Made in USA. Una fabbrica in Ohio”; il corto documentario “Learning to Skateboard in Warzone” di Carol Dysinger (che dedica alle bambine di Kabul in Afghanistan) e il corto animato è “Hair Love”.

Cosa rimane degli Oscar 92?

Bilancio sugli Oscar 92, sulle oltre 3 ore di diretta. Certamente gli americani si confermano maestri nella gestione delle dinamiche delle grandi cerimonie, dove tutto ha uno svolgimento super professionale e dai ritmi quasi militareschi (altro che le debordanti 6 ore della serata finale di Sanremo…). Una cerimonia scintillante, ben confezionata, ma sostanzialmente piatta e vuota, con pochissimi sussulti. Uno scossone arriva con la performance live di Eminem, che canta “Lose Yourself”, brando da Oscar nel 2003 per il film “8 Mile”. Lunga standing ovation per il rapper.
Ancora musica. In apertura l’artista afroamericana Janelle Monae rimarca l’assenza di donne registe in nomination così come dei pochi interpreti afroamericani in lizza. Ritorna dunque la sempre accesa questione sui fronti di discriminazione nella società americana.
Una delle poche risate la strappano i mattatori Steve Martin e Chris Rock in una cerimonia (purtroppo!) senza conduttore. Rivolgendosi a Martin Scorsese per il suo film “The Irishmen” (durata 210 minuti), i due esclamano: “Martin ci è piaciuta molto la prima stagione della tua serie Tv…”.
Momento “tira lacrime”, l’omaggio “In memoriam”. Sulle note di “Yesterday”, cantata dall’artista rivelazione ai recenti Grammy Billie Eilish, richiami a quanti ci hanno lasciato: da Kobe Bryant a Kirk Douglas e, per l’Italia, Piero Tosi e Franco Zeffirelli.

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