“Negli ultimi anni, grazie a computer sempre più potenti,è stata generata una enorme capacità di calcolo, disponibile a prezzi sempre più bassi. Contemporaneamente abbiamo iniziato ad ammassare una quantità di dati che continua a crescere a ritmi vertiginosi: negli ultimi due anni è stato creato il 90% dei dati mai generati nell’intera storia dell’uomo”. Lo ha detto Paolo Benanti, accademico della Pontificia Accademia per la vita (Pav), intervenendo alla presentazione, in sala stampa vaticana, del workshop e dell’Assemblea della Pav su “The ‘good’ Alghoritm? Artificial Intelligence: Ethics, Law, Health”, che si svolgerà nell’Aula Nuova del Sinodo da oggi al 28 febbraio. “I sistemi di AI sono capaci di adattarsi e adeguarsi alle mutevoli condizioni in cui operano, simulando ciò che farebbe una persona”, ha ricordato l’esperto: in altri termini, “oggi la macchina può spesso surrogare l’uomo nel prendere decisioni e nel compiere delle scelte”. “Se le altre rivoluzioni industriali riguardavano i colletti blu, quella che sta avvenendo riguarda soprattutto i colletti bianchi”, ha affermato Benanti a proposito della quarta rivoluzione industriale, quella che stiamo vivendo: “Oggi algoritmi di machine learning e altre forme di AI riescono a fare diagnosi mediche con una percentuale di esattezza che in alcuni casi supera quella di un medico medio, almeno in alcune discipline o con alcune patologie; possono prevedere chi potrà ripagare un prestito in maniera molto più accurata di un direttore di banca; secondo alcuni sviluppatori, possono capire meglio di noi se esiste un’affinità affettiva con la persona che ci troviamo davanti. Le AI acquisiscono sempre più capacità predittiva”. Tuttavia, “gli algoritmi più efficienti sono quelli che meno capiamo, rispetto ai quali siamo meno in grado di dire perché la macchina indica tale risultato”. “Nel momento in cui la macchina surroga l’uomo nel prendere decisioni, che tipo di certezze dovremmo avere per lasciare che sia la macchina a scegliere chi deve essere curato e come?”, si è chiesto il relatore: “In base a cosa dovremmo permettere a una macchina di designare chi di noi è degno di fiducia e chi no? E che fine fa l’amore, quella ricerca unica che ha mosso generazioni di donne e uomini prima di noi?”. “Se con un computer possiamo trasformare i problemi umani in statistiche, grafici ed equazioni, creiamo l’illusione che questi problemi siano risolvibili con i computer”: “Non è così”, ha precisato Benanti, secondo il quale spetta a noi umani fare “da guard-rail alle macchine”.