“E’ un momento difficilissimo! Mentre l’Italia si ferma noi non possiamo fermarci. Abbiamo qui con noi tutti i ragazzi ricoverati in regime residenziale: non possono rientrare a casa e i genitori non possono venire a trovarli”. Francesca Di Maolo è avvocato ed è presidente dell’ Istituto Serafico di Assisi che, fondato nel 1871, svolge attività riabilitativa, psicoeducativa e di assistenza socio-sanitaria in modalità residenziale e semiresidenziale per bambini e giovani adulti con disabilità fisiche, psichiche e sensoriali, costruendo inoltre una rete di servizi per le esigenze dei ragazzi e per il nucleo familiare. Francesca è anche un’amica e le chiedo come sta vivendo con la sua grande “famiglia” questo momento di gravi restrizioni.
“Il centro semiresidenziale – racconta – è chiuso. Mi dispiace molto sapere tutti i bambini disabili a casa e senza la continuità delle prestazioni di cui avevano bisogno. Spero che su tutto il territorio nazionale possano essere attivate attività a domicilio o servizi per le situazioni urgenti.Noi abbiamo mantenuto i contatti telefonici con le famiglie dei nostri ragazzi per sostenere e incoraggiare i genitori, ma anche per rispondere a quesiti o per eventuali urgenze”.Al Serafico sono attualmente ricoverati invece in regime residenziale 80 ragazzi che ora vivono in 6 residenze. “Sentiamo di avere una grande responsabilità nei confronti dei loro genitori – dice Francesca – ed è altrettanto grande la responsabilità che abbiamo nei confronti dei ragazzi che non hanno una famiglia o una casa in cui rientrare… questa è la sola casa in cui possono rimanere.
Così il Serafico è diventato una grande casa per tutti.
“I nostri ragazzi – prosegue, mentre il tono di voce tradisce l’affetto che ha per loro – sono disabili gravi e gravissimi, ricoverati proprio perché non gestibili dalle famiglie.Ma molti di loro il fine settimana rientravano, ora, invece, stiamo tutti a casa, a casa qui al Serafico”.Ovviamente è cambiata l’organizzazione. “Abbiamo sospeso tutte le attività trasversali, isolando, sul piano lavorativo, ogni residenza che ha il suo gruppo di operatori, fisioterapisti, educatori di laboratorio e personale di pulizia compresi. Ora ogni gruppo non si incontra con gli altri: ha il suo spogliatoio, un laboratorio dedicato e spazi per attività ricreative. Abbiamo inoltre intensificato le sanificazioni all’interno e abbiamo iniziato a fare anche quelle esterne: parco, chiostro, strade interne”.
Le chiedo se hanno assunto misure di protezione individuale. “Tutti gli operatori di diretta assistenza – risponde – lavorano con occhiali e mascherine Ffp2.Non sarebbero dispositivi necessari per il nostro tipo di attività, in quanto previsti e raccomandati quando si lavora a contatto con i contagiati, ma, tu capisci, ai nostri ragazzi il virus lo potremmo portare solo noi.
tutto diventa un gioco,
così i ragazzi “dicono che al Serafico siamo tutti mascherati e qualcuno vuole vestirsi da pirata”. Francesca si interrompe e dice:
“Mentre parliamo sento dall’ufficio le voci dei miei piccoli grandi tesori.
C’è un gruppo di bambini che stanno con i loro operatori nel chiostro, impegnati in attività di psicomotricità realizzate come un grande gioco: canestri e cerchi colorati a terra. Altri passeggiano nel parco con i fisioterapisti, altri ancora sono nell’orto e un altro gruppo è nel nostro boschetto a fare vasi in argilla. Il sole splende anche oggi e cerchiamo di stare all’aperto.
Sembra che niente sia cambiato, ma so quante paure e preoccupazioni sono nel cuore di ogni operatore.
Ogni mattina lasciano le famiglie a casa, vengono qui per prendersi cura dei ragazzi, lavorano con dispositivi che non è facile indossare per tutto il turno, ma ogni giorno che passa tiriamo un respiro di sollievo: anche oggi tutto bene! Ce la mettiamo tutta. Ogni residenza è dotata di un tablet e i genitori videochiamano i loro figli. Cerchiamo di fare foto e video che inviamo ai genitori via whatsapp. Anch’io ogni tanto vado ad una finestra a scattare una foto. Non entro nelle residenze, proprio per rispettarne l’isolamento. Vedo operatori e ragazzi a debita distanza e solo negli spazi esterni. Ma alcune volte vado sotto le loro finestre, gli operatori si affacciano e io posso dire loro: ‘Grazie! Andrà tutto bene!’”.
Per Francesca “la serenità dei ragazzi è più contagiosa del coronavirus: “anche oggi stiamo tutti bene e loro ci fanno capire che, insieme, ce la faremo”.