“Ci sarà un tempo per tutto. Ma oggi è il tempo dell’azione, il tempo della responsabilità”. Lo ha detto il presidente del Consiglio nel suo intervento alla Camera ed è veramente difficile dargli torto, quale che sia il giudizio su questo governo e su chi lo guida. Purtroppo ci stiamo sempre più rendendo conto di che cosa sia una pandemia. E stiamo anche constatando come la quasi totalità dei Paesi occidentali (e non solo) si sia ritrovata costretta ad adottare, spesso dopo aver proclamato con mal riposta fierezza la propria diversità, misure analoghe a quelle assunte dall’Italia.
Siamo stati, nostro malgrado, l’apripista.
Non c’è nulla di cui gioire in questo, ovviamente, anzi, è un motivo in più di preoccupazione per tutti. Anche perché i dati ci dicono che il nemico comune non indietreggia e continua a infierire. Però dovrebbe almeno spingerci a stimare di più il nostro Paese, a soppesare meglio la prova che sta dando davanti al mondo. Non ci sono più parole adeguate per descrivere il sacrificio di chi è in prima linea: è una testimonianza di eroismo così ampia e diffusa da cambiare quasi il significato della parola “eroe”.Ma tutto il Paese sta dando una dimostrazione di sé che smentisce clamorosamente i luoghi comuni che ci siamo e che ci hanno costruiti addosso.Lo percepiamo dai nostri pur limitati punti di vista personali come dalle incredibili immagini che rimbalzano dalle nostre città deserte. Anche i numeri, che pure abbiamo imparato a considerare con molta prudenza, lo confermano. Il capo della Polizia, Franco Gabrielli, ha riferito che, a oggi, sono stati effettuati 2 milioni e mezzo di controlli e i denunciati per mancata ottemperanza delle norme sono circa 110 mila. Troppi, ancora decisamente troppi, ed è assolutamente necessario ridurre ulteriormente e in modo drastico e urgente i comportamenti irresponsabili. Non dobbiamo però rinunciare a esaltare quella stragrande maggioranza di italiani che sta accettando con consapevolezza (e per sana, umanissima paura) una compressione delle libertà personali che solo la fiducia sulla tenuta del nostro sistema democratico può rendere praticabile. Se dovessimo proiettare sul totale i numeri di Gabrielli, con un’operazione statisticamente approssimativa ma che rende l’idea,oltre il 95 per cento dei nostri concittadini sta condividendo il rispetto delle regole richieste dall’emergenza.Peraltro, sempre maneggiando con cautela i numeri, tanto più quelli provenienti dai sondaggi, il giudizio positivo sulle misure emanate dal governo è su livelli estremamente elevati e lo stesso Giuseppe Conte gode di un gradimento personale decisamente maggioritario. Ma anche i “governatori” della Lombardia e del Veneto, che appartengono all’area politica dell’opposizione, nei loro territori beneficiano un consenso amplissimo. Non è questione, infatti, di partiti o di ideologie, ma di quella reazione dal basso che nell’ora dell’emergenza spinge in cittadini a cercare unità intorno ai punti di riferimento istituzionali. Una spinta istintiva ma anche profondamente razionale.E’ l’ora dell’azione e della responsabilità, non quella delle polemiche di schieramento.I cittadini sembrano di averlo colto, non così le forze politiche, almeno non nella misura necessaria.
Il presidente della Repubblica, ricordando nei giorni scorsi l’eccidio delle Fosse Ardeatine, ne ha tratto lo spunto per un richiamo all’unità. “La libertà e la democrazia – ha affermato Sergio Mattarella – sono state conquistate con il sangue di molti per evitare che ne fosse sparso ancora in futuro. Al termine di quegli anni terribili, segnati dalla dittatura e dalla guerra, l’unità del popolo italiano consentì la rinascita morale, civile, economica, sociale della nostra Nazione. La stessa unità che ci è richiesta, oggi, in un momento difficile per l’intera comunità».
Qualcuno (magari gli stessi che in passato hanno sostenuto tesi completamente opposte) ha preso la palla al balzo eha voluto leggere nelle parole del Capo dello Stato un sostegno a quell’ipotesi di un nuovo governo di “unità nazionale”di cui si trova traccia nelle cronache politiche delle ultime settimane. Un’ipotesi che ha più di un precedente nella storia della Repubblica, anche se con formule assai diversificate rispetto al coinvolgimento diretto di tutti i partiti. Ma che rilanciata in questo momento appare veramente siderale rispetto ai problemi in campo. Come se il Paese potesse affrontare in questo frangente drammatico una crisi di governo. Tanto siderale che negli ultimi giorni l’ipotesi è stata trasferita alla fase del dopo-emergenza, nella forma di un diverso governo per gestire la ripresa. Tutte le opinioni in proposito sono lecite, ovviamente, e non si può neanche escludere a priori che si arrivi a una soluzione del genere,ma che senso ha porre adesso il problema se non quello di mettere in mora il governo in carica?Bene ha fatto, l’esecutivo, a rimettere ordine nelle procedure e nei rapporti istituzionali. Va in questo senso il maggiore coinvolgimento del Parlamento, che ha visto in particolare lo stesso Conte riferire sia alla Camera che al Senato, con l’impegno a farlo ogni quindici giorni. Nella stessa direzione va l’emanazione di un decreto-legge per dare un adeguato supporto normativo ai tanti dpcm (atti del solo presidente del Consiglio) emanati finora e a quelli che lo saranno in futuro. Nel decreto, inoltre, si codifica e si razionalizza il rapporto con le Regioni. Anche il rilancio del rapporto con i sindacati si colloca su questa linea, che sembra interpretare correttamente l’impulso venuto dal Quirinale.L’unità nazionale di cui c’è bisogno non è una formula politica.E’ un atteggiamento che nasce innanzitutto nelle coscienze degli italiani e di cui le forze politiche di ogni schieramento dovrebbero farsi portatrici, ognuna con la propria specificità e con il proprio contributo, ma remando tutte nella stessa direzione.