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Coronavirus, i grazie che dovremmo dire in questi giorni

Pubblichiamo la lettera giunta in redazione e firmata S.G.G.I.

Questi giorni particolari che stiamo vivendo ci hanno mostrato alcune paure sopite dentro di noi e allo stesso tempo alcuni bei valori che prima sembravano nascosti dalle nostre vite frenetiche e dai nostri impegni.

È stato veramente bello risentire un po’ di sano orgoglio nazionale. Vedere alcuni segnali di rinnovato benessere dalla natura. Ed è stato commovente assistere a tante dimostrazioni di coraggio e di amore di medici e infermieri. Alcuni di loro si sono veramente prodigati in maniera eroica. Ad oggi, 27 marzo 2020, i medici italiani morti per Coronavirus Covid 19 sono già 41!
Il primo grazie, va chiaramente a loro! E mi chiedo: Come si può sentire un medico alla fine della giornata dopo aver visto morire parecchi dei suoi pazienti per questa emergenza e sapendo che domani vivrà una giornata in cui certamente ne perderà altri? Come si sentiranno i nostri giovani laureati in medicina appena assunti a vivere una situazione drammatica a cui non sono preparati neanche i medici che da maggior tempo sono sul campo? Come vive il suo lavoro un medico padre o madre di famiglia, sapendo che già molti colleghi sono stati infettati perdendo anche la vita e nei prossimi giorni certamente altri saranno contagiati? Cosa suscita uno stato di precarietà e sforzo continui? Cosa si prova a sentirsi insicuri e al tempo stesso a cercare di far sentire in sicurezza gli altri?

Io credo che queste persone debbano avere nei nostri cuori un posto importante. Ne vorrei ricordare qui una: il grande Carlo Urbani, medico marchigiano. Grazie alla sua passione, alla sua intelligenza, alla sua preparazione e all’offerta della sua vita, fu possibile nel 2003 sconfiggere la SARS con tempestività, limitando molto il contagio che avrebbe potuto fare un disastro a livello mondiale.

Questi giorni di fermo obbligato hanno favorito in me una riflessione che vorrei condividere con voi.
Mi sono chiesto: ma oltre ai medici, agli infermieri e agli operatori sanitari, a quante persone dovremmo un po’ di stima e di riconoscenza per il bene che fanno?
Così mi sono messo un po’ a riflettere, e aiutato anche dai suggerimenti di una persona di preghiera ho pensato di scrivere questo articolo.

Grazie ai netturbini! Non li ringrazia mai nessuno, fanno un lavoro disprezzato. Uno dei meno desiderabili. Ogni giorno stanno a contatto con sporco e con odori rivoltanti. Eppure è grazie a loro che qualcuno provvede ai nostri rifiuti. È grazie a loro che le nostre città sono pulite.

Grazie a chi lavora nei depuratori! Vivono quotidianamente in un luogo nauseabondo, eppure è grazie a loro che l’ambiente in cui viviamo non è un’enorme pattumiera.

Grazie agli edicolanti! Molti si sono sorpresi quando sono stati inseriti tra le categorie che dovevano continuare a lavorare, eppure si svegliano prestissimo ogni mattina, e stando a contatto con molte persone, anche loro rischiano il contagio.

Grazie a chi fa il pane! L’essenza della nostra alimentazione è frutto di un sacrificio. In quell’alimento Gesù ha visto sé stesso. Per dirci che Lui è l’essenza della nostra esistenza ci ha detto: “Io sono il pane della vita!” (Gv 6, 35). Grazie a chi fa questo mestiere da anni alzandosi molto presto mentre noi tutti dormiamo. Un panettiere anziano, anni fa, mi raccontò che in quelle notti di solitudine e lavoro, pregava per tutta la sua citta, da solo, sperando che quel pane fosse una benedizione per chi lo avrebbe mangiato.

Grazie a tutte le persone che permettono che i nostri supermercati siano aperti e non siano vuoti. Anche loro rischiano!

Grazie a tutti quelli che lavorano negli ospedali e che nessuno ricorda mai! Grazie alle lavanderie! Anche loro rischiano! Grazie a chi tratta rifiuti pericolosi! Anche loro rischiano! Grazie a chi si occupa di pulizie! Anche loro rischiano! Grazie a chi sta nelle cucine! Anche loro rischiano! Grazie a chi lavora negli obitori! Anche loro rischiano!

Grazie a quell’esercito invisibile e meraviglioso che sono i volontari che ci sono in Italia! Alcuni operano negli ospedali, altri aiutano gli anziani, altri i malati di mente, altri vanno a prendere i pazienti che hanno bisogno di dialisi. Altri passano la notte in veglia per il servizio delle ambulanze. Altri portano i pacchi di viveri nelle famiglie. Altri fanno visita ai malati oncologici.
I settori sono tantissimi e ne ho certamente dimenticati molti.

Grazie ai sindaci! Come sacerdote conosco diversi sindaci. Anche a loro deve andare il nostro grazie. Alcuni giorni fa, durante lo scoppio della crisi, un sindaco mi ha chiamato e mi ha detto: “Ti chiedo una preghiera, perché in questi giorni frenetici devo prendere molte decisioni in fretta e sinceramente, alla sera, ho qualche dubbio di aver fatto, per ogni decisione, la scelta migliore”. Grazie ai nostri buoni sindaci e a tutti i loro collaboratori che operano per il bene delle comunità di cui sono responsabili.

Grazie a quei bambini, che nonostante la loro giovanissima età dispensano buoni consigli, meglio di molti adulti. Lo diceva anche Madre Teresa: “I migliori insegnanti? I bambini!”. I bambini sono la gioia e il futuro delle nostre comunità!

Grazie a quegli adolescenti, che nonostante si sentano confusi, aggressivi, con il fuoco nelle vene, hanno la forza di richiamare sé stessi all’ordine, di compiere il loro dovere, e di aiutare in casa.

Grazie a tutti quei papà e quelle mamme che si sforzano di portare serenità nelle loro famiglie, anche se nel loro cuore sono profondamente preoccupati per il futuro, perché prevedono di perdere il lavoro, perché hanno difficoltà a pagare le bollette, perché non si sentono bene, o avrebbero tanto bisogno di riposo, ma devono continuare a lavorare.

Grazie a quegli anziani e malati, ricoverati negli ospedali, che hanno capito la gravità della situazione e hanno fatto la scelta silenziosa, di dare meno fastidio possibile, sopportando il loro dolore per lasciare più tempo libero ai medici e agli infermieri.

Grazie a chi resiste a rimanere nella propria abitazione, anche con situazioni penose, dure, sfinenti, opprimenti. In particolare il mio pensiero va a quelle donne che rischiano restando a casa, perché hanno accanto un uomo violento. E grazie anche a tutte quelle persone che lavorano nei centralini e che danno sostegno, conforto e consigli a tante persone che vivono situazioni drammatiche.

Grazie a quegli imprenditori che stanno facendo di tutto per salvare il posto ai loro dipendenti, convertendo e adeguando le loro fabbriche e facendo investimenti senza sapere cosa li aspetta nel futuro.

Grazie a chi prega con il cuore per tutti, anche per chi non ci riesce perché è bloccato dentro, perché è confuso, perché veramente non ha tempo, perché ha ricevuto delle testimonianze di fede non buone, perché non è riuscito a elaborare un lutto, perché vive una situazione che lo opprime e non gli permette di liberare il suo canto d’amore a Dio.

Grazie a chi digiuna per amore di Cristo.

Grazie a quelle persone che, al di là dei pesi che portano sulle loro spalle, scelgono di continuare a donare un sorriso agli altri, anche quando, qualche volta, costa tanto.

Grazie a coloro che stanno cercando di gestire questa crisi nel migliore dei modi, assumendosi tante responsabilità, mettendo in gioco se stesse e la loro vita.

Grazie a chi sta cercando di capire quali siano i passi migliori da compiere per far ripartire la società quando questa crisi sarà passata. Grazie a tutti quei politici che non mettono al primo posto gli interessi personali e gli interessi di partito, ma il bene della gente.

Grazie ai ricercatori che stanno facendo tante ore di studio e di sperimentazione in laboratorio per elaborare un vaccino.

Grazie alle Forze dell’Ordine, che con un duro lavoro cercano di far rispettare le regole affinché il virus contagi meno persone possibile.

A tutti voi, e a tutte quelle altre categorie di persone che operano un bene invisibile a molti, ma che sostiene la società, GRAZIE!!!!

Che Dio vi ricompensi con la sua infinita generosità, vi protegga sempre e vi dia la forza per continuare a sostenere questo paese.

Voglio chiudere questo articolo con queste parole di Carlo Urbani (di cui ieri ricorreva l’anniversario di morte):
“Poche sere fa, dopo cena, sono andato in moto fuori città. Tornavo da una cena di lavoro, e invece di andare dritto a casa ho approfittato per una piccola “fuga”, per perdermi nella notte e nelle vie sconosciute. Ero eccitato per un positivo risultato ottenuto sul lavoro, un’importante conquista che non speravo di fare. Attraverso un viottolo in campagna, teso a tagliare due terreni disegnati con regolarità da decine di risaie. Qualche palma ne segnava il tragitto, come da noi, i pali gialli e rossi che l’Anas mette per segnalare le strade di montagna coperte di neve. Arrivo a un piccolo cimitero, di grandi tombe in pietra infisse nel terreno umido della risaia. Spengo la moto, per sentire che rumore fa la notte in un posto così. Era bellissimo, rane e altri animali commentavano lo splendore di un cielo fitto di stelle, teso a rispecchiarsi sopra la superficie brillante delle risaie, dove le stelle luccicavano nell’acqua scura, sotto i verdi germogli. Alcune scie luminose si disegnavano pure su quello strano specchio, o di lucciole che incrociavano quei paraggi, o di stelle cadenti che si perdevano dietro l’orizzonte. Un intenso profumo di erba e zagare, forse portato da un vicino giardino di aranci verdi. Ero solo, davvero solo. Immaginavo la mia posizione disegnata su un grande mappamondo. Un puntino in quelle terre lontane, esotici scenari in quelle grandi pianure d’Indocina. E io ero lì, solo, fragile, esposto, ma profondamente felice. È così che mi sento in questo periodo: profondamente felice.
L’unica angoscia è che tutto scorra troppo in fretta, e che poco mi resti tra le dita, immerse nella corrente della vita che mi scivola addosso. Mi chiedo cosa restituire, in cambio di quanto ricevo. Impegno sul lavoro, qualche sorriso regalato, una carezza quando capita, e soprattutto un profondo senso di gratitudine. Ma non sono certo che basti.
Carlo Urbani, Hanoi, 14 maggio 2001