dePietro Pompei

DIOCESI – La globalizzazione si è trasformata in un enorme cimitero con uno spaventoso numero di morti. Neppure durante lo sfollamento la santa Pasqua fu così triste e limitata. Nonostante tutto dobbiamo dire che anche quest’anno, a Pasqua risuona immutata, in ogni angolo della terra, questa buona notizia: Gesù morto in croce è risuscitato, vive glorioso perché ha sconfitto il potere della morte, ha portato l’essere umano in una nuova comunione di vita con Dio e in Dio. Questa è la vittoria della Pasqua, la nostra salvezza! E quindi possiamo con sant’Agostino cantare: «La Risurrezione di Cristo è la nostra speranza», perché ci introduce in un nuovo futuro. Questa certezza non abbandona noi cristiani. È vero: la Risurrezione di Gesù fonda la nostra salda speranza e illumina l’intero nostro pellegrinaggio terreno, compreso l’enigma umano del dolore e della morte e possiamo aggiungere quello del “coronavirus”. La fede in Cristo crocifisso e risorto è il cuore dell’intero messaggio evangelico, il nucleo centrale del nostro «Credo».
Di tale «Credo» essenziale possiamo trovare una espressione autorevole in un noto passo paolino, contenuto nella Prima Lettera ai Corinzi (15,3-8) dove, l’apostolo, per rispondere ad alcuni della comunità di Corinto che paradossalmente proclamavano la Risurrezione di Gesù ma negavano quella dei morti.
Mi permetto di riproporre una riflessione di alcuni anni fa.

S.Paolo  inizia con una affermazione quasi perentoria: «Vi proclamo, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano!» (vv. 1-2). Aggiunge subito di aver loro trasmesso quello che lui stesso aveva ricevuto. L’Apostolo presenta innanzitutto la morte di Gesù e pone, in un testo così scarno, due aggiunte alla notizia che «Cristo morì». La prima aggiunta è: morì «per i nostri peccati»; la seconda è: «secondo le Scritture» .
Questa espressione «secondo le Scritture» pone l’evento della morte del Signore in relazione con la storia dell’alleanza veterotestamentaria di Dio con il suo popolo, e ci fa comprendere che la morte del Figlio di Dio appartiene al tessuto della storia della salvezza, ed anzi ci fa capire che tale storia riceve da essa la sua logica ed il suo vero significato. Fino a quel momento la morte di Cristo era rimasta quasi un enigma, il cui esito era ancora insicuro. Nel mistero pasquale si compiono le parole della Scrittura, cioè, questa morte realizzata «secondo le Scritture» è un avvenimento che porta in sé un logos, una logica: la morte di Cristo testimonia che la Parola di Dio si è fatta sino in fondo «carne», «storia» umana.
Come e perché ciò sia avvenuto lo si comprende dall’altra aggiunta che san Paolo fa: Cristo morì «per i nostri peccati». Con queste parole il testo paolino pare riprendere la profezia di Isaia contenuta nel Quarto Canto del Servo di Dio (cfr Is 53,12). Il Servo di Dio – così dice il Canto – «ha spogliato se stesso fino alla morte», ha portato «il peccato di molti», ed intercedendo per i «colpevoli» ha potuto recare il dono della riconciliazione degli uomini tra loro e degli uomini con Dio: la sua è dunque una morte che mette fine alla morte; la via della Croce porta alla Risurrezione.  San Paolo, tramandando fedelmente l’insegnamento degli apostoli, sottolinea che la vittoria di Cristo sulla morte avviene attraverso la potenza creatrice della Parola di Dio. Questa potenza divina reca speranza e gioia: è questo in definitiva il contenuto liberatore della rivelazione pasquale. Nella Pasqua, Dio rivela se stesso e la potenza dell’amore trinitario che annienta le forze distruttrici del male e della morte.
Con questa certezza, anche se ridotti in cenere, noi risorgeremo e  non ci sarà virus a mettere in dubbio la nostra fede, anche se ci impedirà di manifestarla nelle nostre chiese. La nostra gioia sarà ugualmente piena nelle nostre “chiese domestiche”.

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