di d. Vincenzo Catani
A me viene da fare silenzio, solo silenzio, in un cantuccio di casa, guardando fuori della finestra
mentre alcune nuvole grigie cercano di rubare l’azzurro del cielo in questo storico marzo del 2020.
Ma non è un silenzio vuoto o perso nel nulla, non è un silenzio per semplice assenza di suoni: anzi
è un silenzio chiassoso e assordante, un silenzio che dentro me urla forte e mi stordisce.
Urla il peso del dolore di tante morti arrivate inaspettate, quando ancora si volevano contare giorni
sereni, morti arrivate senza la carezza dei parenti vicini o la pietà di un pur modesto funerale.
Urla la nostra inconsistenza di creature fragili, in balia di una particella infettiva di dimensioni
submicroscopica che neppure conoscevamo, ma che aggredisce non solo i corpi, ma le nostre
sicurezze e frantuma le nostre strafottenze di superuomini.
Urla la nostra forzata solitudine, in contrasto con il nostro bisogno assoluto di relazione e di incontro-
scontro con gli altri.
Urla il prolungarsi di un tempo non più programmabile, un tempo che ci sembra rubato, che ci
rimanda “a data da destinarsi”, che sconvolge programmi già fatti, organizzazioni già predisposte,
lavori già cominciati.
Urla la nostra forzata prigionia, in una casa che è diventata troppo stretta e di cui ormai conosciamo
ogni angolo e ogni mattonella.
Urla l’inaspettata messa in discussione della nostra fragile e per niente matura fede, della nostra
speranza vacillante perché mai messa alla prova, della nostra serenità appoggiata solo su castelli
di sabbia.
Urla anche la nostra paura, quella che nascondiamo dietro il “tutto passa”, la sottile e incosciente
padrona dei nostri cervelli.
Poi mi domando all’improvviso se in questo strano tempo non ci sia qualche latente insegnamento
che devo andare a scovare. E salta fuori, dal cassetto della mia anima, il dimenticato termine di
Provvidenza.
Alzo gli occhi verso il Crocifisso, quello appeso alla parete di fronte.
Vedo due braccia aperte e risento una frase scolpita nella memoria: “Venite a me voi tutti che siete
stanchi e affaticati. Io vi consolerò”.
Il silenzio si addolcisce, l’urlo si placa e, come su quel lago in tempesta, “si fece subito una grande
bonaccia” (Marco 4,39).
In fondo, a pensarci bene, anche questo tempo del Covid-19 parla forte alle nostre menti distratte.