Striscia di Gaza e Idlib, sono due dei tanti Calvari dell’umanità di oggi. Calvari lunghi anni, che non vedono resurrezione e rinascita. Non esiste il “Terzo Giorno” per queste terre e per i loro abitanti, circondati da muri e da macerie, costretti a vivere in condizioni inumane, privi di tutto e soprattutto di prospettive future degne di questo nome. Adesso anche la minaccia invisibile del Coronavirus che le costringe ad un isolamento ulteriore. Ma c’è anche chi continua a coltivare la speranza del “Terzo Giorno”, sono le piccole, esigue, minoranze cristiane che le abitano e che in questi giorni tornano, con ancora più forza, sotto la Croce a chiedere “la liberazione dalla morte e che la pietra del Sepolcro di Cristo rotoli via anche per loro”.
Gaza. “Qui a Gaza siamo abituati a restare a casa – racconta al Sir padre Gabriel Romanelli, parroco della parrocchia latina, “Sacra Famiglia”, di Gaza -. Siamo abituati ai coprifuoco che ci costringono al chiuso, come il muro che ci circonda. Chi ha una casa qui è fortunato ma chi vive in strutture distrutte dalle guerre o fatiscenti soffre davvero tanto. Non abbiamo molta acqua potabile disponibile, l’energia elettrica viene erogata poche ore al giorno, c’è carenza di medicinali, gli ospedali lavorano in condizioni difficili, le condizioni igienico-sanitarie sono a dir poco precarie per la mancanza di infrastrutture. Con il coronavirus la situazione è peggiorata. Al momento si registrano 12 casi, mentre 1852 persone si trovano in strutture di quarantena, presso la frontiera con l’Egitto, nei pressi del valico di Rafah. Sono stati chiusi ristoranti, sale per feste, caffè, negozi e solo in questo settore hanno perso lavoro oltre seimila persone, ed è un numero in difetto. E la disoccupazione continua a salire. I salari dimezzati. La gente ha fame perché non sa di cosa vivere. Gaza vive di aiuti esterni, senza i quali non può andare avanti e comincia a far capolino anche un po’ di criminalità, si registrano soprattutto furti notturni”. “La cosa che più ci rattrista, e mi riferisco ai fedeli cristiani (circa 1000 di cui solo 117 i cattolici, su due milioni di abitanti, ndr.) è non poter andare in chiesa.
La nostra comunità – dichiara padre Romanelli – è molto attiva e soffre spiritualmente. Ma non si piange addosso e partecipa via social alle messe e le liturgie che trasmettiamo in streaming in questo tempo di Coronavirus. A centinaia, black out permettendo, stanno seguendo i riti pasquali e in tanti chiedono a noi sacerdoti e religiosi di andare di casa in casa – laddove possibile e nel pieno rispetto delle norme precauzionali stabilite dalle Autorità e dal Patriarcato Latino – a benedire, confessare e portare la comunione.
Eleviamo preghiere ogni giorno per ciascuno dei nostri parrocchiani, così come per tutti i contagiati nel mondo, chiedendo a Dio una pronta guarigione e la misericordia per le vittime del virus. Parallelamente continuiamo a dare aiuto materiale a tutti i più bisognosi, siano essi cristiani o musulmani. Niente abbatterà la generosità e la resilienza del popolo palestinese, nemmeno il virus.
La solitudine di Maria. Oggi, Venerdì Santo, a Gaza è il giorno della Via Crucis e della venerazione della Croce. È il giorno di Giuseppe di Arimatea e di Nicodemo, che raccolsero il corpo di Gesù sotto la croce, lo avvolsero nella sindone e lo deposero nel sepolcro. Prepariamo il Corpo di Gesù con incenso, e lo portiamo, accompagnato da candele e da musiche ad hoc suonate da due scout, dalla chiesa verso il cimitero attiguo, dove abbiamo allestito un sepolcro e dove abbiamo ornato le altre tombe con dei fiori. Chiusa la tomba torniamo in chiesa dove preghiamo e salutiamo la solitudine di Maria che in tal modo vogliamo confortare per la perdita del suo unico Figlio.
Oggi è il giorno in cui ricordiamo i dolori e le sofferenza della Madre di Gesù,
e madre nostra. Le porteremo fiori e incenso. Salutata Maria, aspetteremo la Resurrezione che celebreremo domani sera, nella Veglia e domenica nella Messa solenne. Poi sarà il tempo di visitare le famiglie per portare doni, cioccolato, uova e acqua benedetta il sabato santo.
Idlib. Da Gaza a Idlib, in Siria, l’ultimo fronte aperto della guerra in Siria dove l’esercito regolare del presidente Assad, e il suo alleato russo, combatte contro le milizie jihadiste di Tahrir al-Sham (ex Al Nusra) e dell’Esercito Nazionale Siriano, sostenuto dalla Turchia. Testimone di questi scontri è padre Hanna Jallouf, francescano della Custodia di Terra Santa e parroco latino di Knaye, uno dei tre villaggi cristiani della Valle dell’Oronte (gli altri sono Yacoubieh e Gidaideh, tutti a circa 50 km da Idlib e a pochissimi chilometri dalla frontiera turca). Con l’altro confratello, padre Louai Bsharat, sono gli unici religiosi rimasti nella zona a curare un gregge di poco meno di 300 famiglie. Idlib è un altro Calvario del tempo di oggi. “Siamo entrati nel decimo anno di guerra e la popolazione è stremata, sfollata in continuazione, preda della fame, del freddo, senza lavoro e in balia del carovita”.
“Ogni giorno facciamo esperienza del Calvario”.
Con qualche timida luce. “La tregua tra turchi e russi sembra reggere, gli scontri sono cessati, almeno per ora. Dopo il 14 aprile vedremo cosa accadrà” dice al Sir il francescano. Con la guerra c’è un altro nemico, invisibile, per la popolazione: “è il coronavirus. In questa zona, per il momento non abbiamo casi accertati. Ma se ci fosse un contagio allora saremmo davanti ad una vera ecatombe. Non abbiamo ospedali capaci per fronteggiare questo nemico”. E a pagare le conseguenze peggiori del contagio saranno gli sfollati costretti a vivere in campi di fortuna senza nessun presidio medico e senza nessuna garanzia sanitaria e igienica. “Sono vittime della guerra, della povertà e della malattia” denuncia il francescano. “È paradossale che l’isolamento cui siamo costretti dalle milizie jihadiste di Tahrir al-Sham fino ad ora ha evitato la diffusione del virus” e anche per questo motivo che, aggiunge, “le nostre chiese sono ancora aperte”.
“Non ci è permesso vestire il saio, avere le croci sui campanili e nemmeno decorare l’esterno delle chiese, ma all’interno possiamo celebrare. In questi giorni tantissimi fedeli partecipano alle funzioni religiose. Per noi è una luce di speranza”.
“Ieri abbiamo celebrato il Giovedì Santo senza la lavanda dei piedi. Dopo la messa abbiamo acceso 12 candele sull’altare, simbolo degli apostoli, e altre 12 candele per tutti gli ammalati e i sofferenti del mondo anche a causa del virus. Questa sera celebreremo la Via Crucis e ricorderemo il Cristo morto. Sabato distribuiremo l’acqua benedetta alle famiglie che la useranno per benedire le loro abitazioni”. “Oggi vogliamo unire tutta la nostra sofferenza a quella di Cristo.
Il nostro Calvario non sarà infinito.
Siamo nel buco nero del mondo – conclude – ma anche qui la pietra del sepolcro di Cristo è destinata a rotolare via per fare entrare la luce della Resurrezione nella nostra vita, nella nostra terra e nelle persone sofferenti e sole”.