COLONELLA – Dopo aver ascoltato l’esperienza del Dott. Alessandro Falgiatore e della Dott.ssa Federica Franco, che operano rispettivamente in Germania ed in Inghilterra:
– L’esperienza della Dott.ssa colonnellese Federica Franco a Londra
– Dott. Falgiatore: “Nella vita la cosa più importante sono gli affetti”
Torniamo in Italia per ospitare la Dott.ssa Samuela Bartolacci che svolge la sua professione in Veneto, in una delle zone italiane maggiormente colpite dall’emergenza Covid-19. Colonnellese d’origine, a seguito della laurea in Medicina conseguita a Chieti nel 2001, si è trasferita a Padova, dove ha acquisito la Specializzazione in Medicina Interna (con indirizzo Medicina d’Urgenza). Dopo aver lavorato per 13 anni nel Pronto Soccorso dell’Azienda Ospedaliera di Padova, lo scorso Febbraio, si è trasferita presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di Schiavonia (Monselice, a sud di Padova) che ora è Covid Hospital. Dal 17 marzo ha iniziato a prestare servizio presso la Terapia Sub-Intensiva Pneumologica Covid del suo Ospedale.
Com’è la situazione a Schiavonia?
In tutto il Veneto le città sono vuote: per strada pochi mezzi, i negozi chiusi e, salvo poche eccezioni, la gente è rinchiusa in casa. Si respira un’aria surreale. Le giornate, al di fuori della frenesia a lavoro, sembrano scorrere più lentamente.
Per quanto riguarda la situazione dei pazienti affetti da Covid-19, non vi riporto i numeri , visto che sono numerosissimi e per giunta in continua evoluzione. Nel mio reparto ci sono i pazienti con quadro respiratorio più severo, quelli che trattiamo con i presidi di ventilazione non invasiva, ma che – se deteriorano ulteriormente – sono destinati ad essere sedati e intubati in terapia intensiva. La loro condizione è estremamente difficile. Sono consapevoli di avere una patologia grave, che può condurli alla morte, ma non possono avere il sostegno e la vicinanza dei familiari, se non quella telefonica. La possibilità, per noi medici e per tutto il personale sanitario, di stare loro accanto è limitata, per ridurre il rischio di contrarre l’infezione (molti miei colleghi sono stati contagiati, nonostante tutte le precauzione e la disponibilità dei presidi di protezione individuale). Si entra nelle stanze dei malati il meno possibile, al contrario di quanto invece è sempre accaduto quando si aveva a che fare con pazienti gravi; inoltre siamo bardati con camici, cuffie e mascherine che nascondono i nostri sorrisi e ci restano solo gli occhi per infondere loro calore e sostegno, insieme alle nostre parole. Nel mio ospedale ci siamo dotati di tablet per permettere, ai pazienti che non hanno un cellulare come spesso i più anziani, di poter comunicare, anche con videochiamate, con la famiglia. Quando qualcuno si aggrava, è straziante pensare che nessuno dei suoi cari potrà essergli accanto negli ultimi istanti. Straziante per il paziente, per le famiglie, per noi sanitari.
Come è cambiata la vita in reparto da quando è iniziata l’emergenza coronavirus?
Da quando è iniziata l’emergenza coronavirus è cambiato completamente il mio modo di lavorare. Inizialmente il Pronto Soccorso in cui prestavo servizio è stato suddiviso in aree distinte per i pazienti potenzialmente infetti e per quelli potenzialmente non infetti; poi il mio Ospedale è stato convertito totalmente in Covid Hospital provinciale, quindi tutti i servizi non relativi ai malati Covid sono stati dislocati in altre strutture, mentre qui sono stati disposti centinaia di posti letto per accogliere solo malati affetti da questa patologia. Io mi sono offerta di andare a lavorare all’interno della Terapia Sub-Intensiva Pneumologica, anche se devo dire che ognuno di noi si è dovuto “reinventare” nel proprio ruolo: medici, infermieri, operatori sanitari. Siamo entrati tutti in una realtà lavorativa completamente diversa da quella a cui precedentemente eravamo abituati, ma nessuno si è tirato indietro, offrendo tutta la propria professionalità per fronteggiare insieme questa emergenza.
Anche in casa è cambiato il suo comportamento con i suoi familiari?
In casa io, mia figlia e il mio compagno viviamo in relativo isolamento. Ognuno di noi dorme in una sua stanza, ognuno con un proprio bagno. Mangiamo anche a distanza. Nonostante tutte le precauzioni a lavoro (i dispositivi di protezione individuale a noi non mancano, per fortuna), la paura di portare a casa “il mostro”, di essere causa di contagio, è forte e condiziona ogni movimento e ogni passo in casa. Vedo mia figlia e il mio compagno tutti i giorni, ma non li abbraccio da oltre due mesi.
Come sta vivendo la lontananza da Colonnella e dai suoi cari?
Colonnella per me è il luogo della pace, torno a casa 5 o 6 volte l’anno e vedere le mie colline che si affacciano sul mare mi restituisce serenità. Lì rivivo i miei ricordi di ragazza e ogni angolo del paese per me è suggestivo. Quando tornerò la prossima volta, tutte le emozioni saranno ancora più forti e amplificate. In questo momento più che mai la lontananza fisica della mia famiglia e di tutti i miei cari si fa sentire. Sono preoccupata per loro e prego ogni giorno che nel resto d’Italia non si raggiunga la situazione drammatica della nostra regione. Tanto più i miei cari sono preoccupati per me, essendo coinvolta in prima linea in questa battaglia. Questa situazione di incertezza, il non sapere quando potrò riabbracciarli è disarmante. Ovviamente sono in continuo contatto con loro e sto ricevendo tantissimo caloroso sostegno da tutti, anche amici che non sentivo da tempo. Questo supporto umano è fondamentale perché nelle condizioni in cui lavoro adesso è facile cadere nello sconforto, anche per chi – come me – è abituata a fronteggiare le emergenze. Niente di quello che stiamo vivendo ora, è paragonabile a quanto vissuto prima. Siamo chiamati a vivere una grande prova e come ha detto papa Francesco, “non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme”. Ora più che mai lo stiamo riscoprendo. Questo tempo di dolore è anche tempo di riflessione per ciascuno di noi. E’ tempo che ci è dato per rimettere ordine nelle nostre vite, per riscoprire la preziosità di ogni giorno, delle azioni che siamo abituati a dare per scontate, come fare una passeggiata o andare a prendere un gelato con chi amiamo. Spero che quando potremo farlo di nuovo, impareremo ad essere “grati” per ciò che di bello la vita ci concede, nei gesti semplici di ogni giorno che ora sembrano così lontani.
Che messaggio si sente di dare ai nostri lettori?
Raccomando a tutti di non sottovalutare la situazione, di essere cauti e di seguire attentamente le indicazioni che vengono date per limitare la diffusione del contagio. Spero di cuore che la situazione lì non raggiunga il quadro di drammaticità che abbiamo qui in Veneto. Se tutti collaboriamo, possiamo sconfiggere questa epidemia. Siate forti, anche nel vedere limitate le vostre libertà, siate forti per dare coraggio a chi ha più paura, siate forti nello spirito di collaborazione e fratellanza. Continuate ad essere forti come è sempre stata la mia gente.