Di Andrea Zaghi
Acqua preziosa, anzi di più: preziosissima. Per tutti e per tutto e in agricoltura soprattutto. Tanto che continua ad essere ancora oggi valido un antico proverbio emiliano: “Fossi e cavedagne benedicon le campagne”. Insomma, anche in tempi moderni (seppur travagliati) come quelli che si stanno vivendo, la disponibilità d’acqua e la sua corretta gestione possono davvero fare la differenza tra un comparto agroalimentare che sopravvive e basta e uno che riesce a produrre ricchezza e benessere oltre che equilibrio ambientale e territoriale. Per questo, gli agricoltori guardano ancora oggi al cielo per capire l’andamento climatico, se pioverà oppure se farà secco, se ci sarà o no vento (che oltre a spezzare le colture, può anche bruciarle portando aria calda e “succhiando” acqua dal terreno e dalle foglie). Ed è per questo che gli investimenti in infrastrutture irrigue continuano ad essere importanti, seppur costosi, anche per il nostro Paese (senza dire naturalmente del valore che l’irrigazione ha per altri climi e altre economie).
Per capire meglio cosa significa l’acqua ancora oggi, è possibile leggere i risultati di un’analisi condotta dall’Università di Trieste e rilanciata dalla Anbi (l’Associazione nazionale dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue).
Il valore dell’irrigazione è stato stimato a partire dall’effetto prodotto sul valore dei terreni agricoli. La presenza di acqua – viene spiegato da Anbi -, condiziona in modo significativo il valore della terra, introducendo una differenza fra irriguo e non irriguo pari a 13.500 euro/ha. In termini percentuali questa differenza è più alta al Centro-Sud (60-80%) rispetto al Nord (39%) a causa delle differenze climatiche. E non solo. Per alcune coltivazioni, infatti, l’acqua cambia davvero le prospettive di raccolto. Nei seminativi, mediamente, l’incremento di valore riconducibile all’irrigazione è pari a circa il 27%. Il contributo massimo si registra per i suoli a colture specializzate: frutteto (+35%) e orto (+82%). Significativo è pure il contributo fornito al valore dei prati (+48%) che, nel Nord Italia, richiedono elevati volumi d’acqua.
Se si guarda poi al Paese nel suo complesso, Anbi fa rilevare come l’Italia, con 20 miliardi di metri cubi d’acqua annualmente utilizzati in agricoltura per la produzione di cibo, sia tra i Paesi europei uno di quelli che maggiormente fanno ricorso all’irrigazione, e sia seconda in termini di superficie irrigata solo alla Spagna. E’ stato anche calcolato che nel nostro Paese l’85% del valore economico prodotto dall’agricoltura deriva proprio dalla disponibilità d’acqua.
Certo, occorre che le risorse idriche siano adeguatamente gestite. Non per nulla, si dice “governo” dell’acqua per intendere l’uso oculato di questa risorsa che, se appunto non ben governata, può causare danni enormi. E non solo alle coltivazioni. Per questo addirittura, fino a pochi decenni fa, in alcune regioni esisteva (da secoli) un Magistrato delle acque. Questione complessa, quella delle infrastrutture idriche dello Stivale. Per comprendere quanto però sia importante investire – e bene -, in canali e bacini idrici, basta pensare che oggi riusciamo solo a trattenere l’11% circa dell’acqua che ci arriva e che l’ultimo inverno ha fatto registrare minori piogge pari al 42% circa del normale.
Insomma, se da un lato tecnici e agricoltori riconoscono da sempre quanto l’acqua sia qualcosa di prezioso per tutti, non così pare essere per chi – istituzioni prima di tutto -, può decidere di migliorare gli apparati in grado di conservare e distribuire questa risorsa. Servono soldi e tanti. Ma l’acqua è davvero cosa preziosa. L’avevano compreso bene nel passato; si stenta a comprenderlo oggi.
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