Di Nicola Salvagnin
Considerando tutti i suoi addentellati, il turismo in Italia vale 13 euro ogni 100 prodotti. Quello internazionale ci porta in casa oltre 40 miliardi di euro in un anno. Che quest’anno in stragrande parte non ci saranno. È su questo comparto che il Coronavirus picchierà più duramente da qui ai prossimi mesi: senza voli aerei, senza treni, senza viaggi organizzati, con le quarantene e i contagi diversificati, addio comitive di cinesi e spagnoli in giro per Venezia e Firenze; addio turisti nord europei a Rimini o sul Garda; addio turismo d’affari o religioso a Milano e Roma.
Stiamo capendo ora qual è il nostro petrolio. Eravamo ottusi? Oddio, non abbiamo nemmeno un ministero appositamente dedicato al turismo e la promozione – per modo di dire – è frastagliata tra cento competenze. Questo per dire della nostra lungimiranza.
Eppure larghe fette della popolazione italiana sul turismo ci campano: alberghi e agriturismi, case in affitto e locali, ristoranti e guide, trasporti e negozi, tour operator e bagnini, impianti sciistici e indotto agroalimentare… Elenco lunghissimo.
Il problema è un altro. Sono saltate tutte le prenotazioni primaverili dei turisti stranieri e vacillano fortemente quelle estive, ma come si potrà tornare a fare turismo nell’era post Coronavirus? Come andare a Dubai o New York? Come affrontare luoghi affollati, dalle gelaterie alle metropolitane? Con che coraggio afferrare un kebab in un locale che già prima ci creava qualche perplessità? Come fare colazione self service in un hotel o una doccia ai Bagni Miramare?
Certo, il turismo italico si riverserà più attorno a casa che alle Maldive o sul Tibet. Ma l’Italia – forse il più bel Paese del mondo per concentrazione di bellezze e per qualità della vita – sarà sicuramente quello che soffrirà più di tutti. In attesa di un vaccino o di terapie efficaci contro il virus, si cercherà almeno di tenere in piedi ciò che abbiamo faticosamente costruito nel corso degli ultimi decenni. Ma l’antidoto a un’epidemia è stato #iorestoacasa, proprio lo slogan che gli operatori turistici hanno combattuto con tutte le loro forze finora.
Per quello, dicevamo, è il settore più radicalmente esposto alla negatività della situazione. O si sta a casa, o si fa turismo. E se si deve stare a casa…