di don Raffaele Pettenuzzo
Il modo di pensare sui “social” nei confronti della Chiesa, ma anche a volte nella Chiesa stessa, si esprime nell’impedimento concreto di capire l’intenzione di chi la pensa in modo diverso e di non voler ascoltare la sua testimonianza, “a causa della tecnica dei social” che interpretano le situazioni, ma che hanno perduto il legame con la verità. La tecnica dei social condiziona l’operare umano e sembra interrompere la possibilità di una riflessione su ciò che è vero o di una testimonianza vera. Di conseguenza, come conciliare l’aspirazione personale alla verità con “le tecniche attuali dei social in corso”, quando è evidente a tutti come alcune di queste tecniche portino a dei risultati che si possono definire di ipnosi sociale? Perciò, come posso conciliare la mia esperienza religiosa con certe tecniche dominanti? Se, cioè, sia ancora possibile “connettere” la mia fede con i social, rientrando in gioco la mia testimonianza.
Pertanto, siamo chiamati a una prima verità: 1. “La Chiesa per quanto imperfetta è composta dall’Amore del Signore, che ne comprende tutta la sua fatica e fragilità. Lo Spirito soffia su di essa, molti lo accolgono, altri ascoltano ma non eseguono. La Chiesa, la Chiesa fatta di apostoli inosservanti e di apostoli fedeli e saldi agli insegnamenti di Cristo. La Chiesa… o Chiesa fai allora sentire la tua voce, proclama la Resurrezione di Cristo!”.
Ma i maestri di menzogna, non perché dicono il contrario di ciò che sanno, ma perché non dicono altro che quello che sanno ma non testimoniano la verità. E i computer sono sulla stessa linea. Fuori della libertà non si può testimoniare. I computer danno delle informazioni e così è “la tecnica sui social”; informazioni certamente più precise di quelle che un uomo può dare. Ma una testimonianza umana non ha senso senza una testimonianza divina e se, dunque, una testimonianza umana è legata alla parola greca “martirio”, l’atto stesso del testimoniare suppone il conflitto con coloro che non accettano il ricorso al divino (cf. Atti degli Apostoli 22,18), che ha un valore specificamente religioso e cristiano: la testimonianza per la diffusione della fede. Infatti, nel Cristianesimo, dopo il sacrificio della Croce, l’atto del testimoniare, cioè, date a Cesare quel che è di Cesare, diventa una testimonianza, “che è per sempre” (in greco: “apáx legómenon”).
Perciò, ecco la seconda verità che chiede il coraggio: 2. “Prendere in mano tutta la propria fede e riportare Cristo nell’umanità che disperata ha perso l’orientamento. Chiesa sovrana istituzione della Parola del Signore, parla, parla, grida! Tutto il suo essere di Cristo è con noi, per noi e in noi. Chiesa non avere paura! Dio è con noi. Chiesa rialzati! Il Signore soffia su di noi tutta la sua Onnipotenza. Chiesa, non avere paura, non chiudiamoci in noi stessi, ma convertiamo con parole di Misericordia, per tutti coloro che hanno fame, soprattutto di Dio”.
Ma anche qui c’è forse da dire che per sopravvivere nel mondo della tecnica non sono possibili le scelte: siamo scelti, cioè, non scegliamo e, quindi, scelti per l’Inferno? Si può allora parlare di un caso di coscienza drammatico, quello di chi chiede se oggi sia ancora possibile dire che la storia è nelle mani di Dio, quando il progetto nascosto è il suicidio cosmico e la scienza senza intenzioni, cioè, diventata tecnica, lo prepara?
Pertanto, una terza verità, che è la sofferenza della testimonianza (il martirio spirituale): 3. “Le anime hanno bisogno di essere curate, amate, ma soprattutto che non si disperdano e di anime se ne sono perse moltitudini. Ecco ora sono tutte alla nostra disponibilità: chiuse nei recinti della loro vita (cioè, nelle case); allora, ripartire da lì, figli benedetti del Signore, ricominciare a evangelizzare nella speranza di un Dio che ama e che vuole essere amato. Ritornare al Signore, poiché i tempi lo permettono, ritornare alla fedeltà di Dio, tornare alla CHIESA EUCARISTICA, Chiesa nella Chiesa di Dio”.