Alessandro Guarasci – Città del Vaticano da vaticannews
Il coronavirus Covid19 ha fatto calare del 70% il fatturato delle aziende del settore della pesca. Si tratta spesso di realtà familiari che attendono con ansia la fase due, per poter ripartire. Paolo Tiozzo, vicepresidente di Fedagripesca, dice che queste microimprese “vivono su una rete commerciale che si basa sui ristoranti, gli alberghi e su tutto il mondo del turismo a livello nazionale. Perciò – spiega- il vero problema oggi è la mancanza dei nostri primi interlocutori. I mercati ittici sono aperti, ma di riflesso chi andava a comprare lì, oggi non ci va più, perché a sua volta vendeva alla ristorazione, agli alberghi e a tutto il mondo del turismo, cioè a quei servizi che sono nelle città e che purtroppo oggi non vediamo più”.
Quante aziende stanno soffrendo per l’epidemia di coronavirus?
R. – I pescherecci in Italia sono 12 mila quasi e per ogni peschereccio parliamo di un’azienda. Ricordo che le nostre sono piccole aziende, non abbiamo grosse realtà imprenditoriali nel nostro mondo. Perciò ad ogni peschereccio, che sia grande o piccolo, quasi sempre fa riferimento una famiglia. Al massimo abbiamo famiglie che sono più strutturate, che hanno due-tre pescherecci. Tutto questo per un totale tra i 25 mila e i 30 mila addetti.
La situazione riguarda un po’ tutti i paesi del Mediterraneo?
R. – Sì, è pressoché omogenea in tutti i paesi, proprio perché ogni paese ha utilizzato lo stesso protocollo che abbiamo inizialmente usato noi. E cioè essendo stati i primi i primi a dover fare delle scelte drastiche, quello di chiudere e di usare la massima prudenza per salvaguardare l’aspetto sanitario, a sua volta la cosa ha riguardato sia Francia, sia Spagna, la Croazia, Cipro, insomma tutti, dal momento che la parte turistica di ogni paese ha chiuso. Di fatto si è bloccato il mercato del pesce per come lo conosciamo, fatto di microimprese.
Che cosa le riferiscono i pescatori, i marittimi, in questo momento? Qual è la loro sofferenza?
R. – Sono tutti preoccupati. Se il mercato non riparte, e non riparte in maniera veloce, se non riescono ad arrivare per questo momento gli aiuti adeguati rischiamo davvero di perdere tanti colleghi dal punto di vista lavorativo. Le grandi industrie sono organizzate per affrontare le varie casse integrazioni. La pesca dal Dopoguerra non ha mai vissuto una situazione di emergenza di questo tipo, e non è preparata. Questo ci deve far riflettere molto, anche su come si può immaginare una distribuzione diversa del nostro prodotto.
L’Europa come ha risposto?
R. – Dopo la pandemia di coronavirus Covid19, serve modificare quelli che sono i fondi specifici che già ci sono. Quelle erano risorse che servivano per azioni di sviluppo, oggi invece stiamo tentando di dirottare alcune di quelle risorse per aiutare tutto il settore in un momento così difficile. Il Cura Italia, a livello nazionale, prevede una parte di cassa integrazione anche per noi della pesca, una cassa integrazione in deroga; ma in realtà non risolve il problema a lungo termine.