Andrea Monda da vaticannews
Incontriamo telefonicamente David Sassoli, presidente del Parlamento Europeo in una data altamente simbolica, il 25 aprile e la conversazione ruota tutta sul tema dei valori, libertà, democrazia, pluralismo che sono sottesi a quella ricorrenza. Non si tratta di temi astratti ma di quella “fonte” da cui scaturisce la cura e l’attenzione per la vita concreta delle persone che è la dimensione da cui si deve ripartire per ricostruire un’Europa capace di uscire più forte dalla tremenda crisi della pandemia del Covid-19.
R.: L’effetto di un richiamo giusto, per affrontare con responsabilità questo passaggio storico, perché è vero che l’Europa è una comunità di interessi, ma non può non essere una comunità di destino. E in questo momento il richiamo del Santo Padre è particolarmente importante perché ci chiede di essere attenti a tutte le persone. Credo che questo sia il momento in cui l’Europa degli Stati, delle nazioni, dei governi, possa rafforzare le sue istituzioni per essere accanto a tutti i cittadini, quelle del nord e quelli del sud. Per fare cosa? Innanzi tutto per rivedere il proprio modello di sviluppo, per riuscire a proteggere meglio le persone e per custodire anche quei valori che il Santo Padre ha richiamato e che sono un elemento indispensabile per sostenere le sfide che il mondo globale ci propone. Noi abbiamo una responsabilità che riguarda anche il patrimonio di valori che questi settanta anni ci hanno consegnato: la libertà, la democrazia, il pluralismo. Credo che in questo momento dobbiamo essere ancora più orgogliosamente fedeli ai valori europei perché il mondo ne ha bisogno.
L’Unione Europea si trova nella condizione di dover armonizzare la spinta ideale dei padri fondatori, con la concretezza, anche finanziaria, richiesta nei vari momenti storici e politici. Come riuscire a trovare ogni volta, e adesso in special modo, questo difficile, ma necessario equilibrio?
R.: Siamo ad un cambio di fase e serviranno visione e pragmatismo. L’Europa non si costruisce soltanto immaginandola illuministicamente. L’Europa è un grande spazio di dibattito politico e vogliamo che lo sia sempre di più. Vogliamo che però sia anche uno spazio di partecipazione e non solo di cruda difesa degli interessi nazionali. Ecco perché lo spazio europeo può essere anche di esempio e un modello per gli altri, non credendoci più bravi degli altri, ma sapendo offrire agli altri un patrimonio importante per tutti. Dobbiamo dimostrare che in libertà, in democrazia, rispettando i diritti fondamentali della persona e il valore della vita si vive meglio e si può migliorare gli standard di vita. Se si sgretola l’Europa chi altri oggi nel mondo terrebbe alta a bandiera dei diritti della persona? In questo momento il mondo chiede più democrazia, non meno democrazia.
Il Papa dice: «Dare ulteriore prova di solidarietà anche ricorrendo a soluzioni innovative»; scendendo sul piano concreto: le misure che sono uscite fuori dal Consiglio Europeo del 23 aprile, penso ad esempio al Recovery Fund, possono essere viste come quelle soluzioni innovative di cui parla il Papa?
R.: Sì, nella miseria della politica, il Consiglio ha fatto un importante passo in avanti. Siamo entrati un mese e mezzo fa a mani nude, sprovvisti di strumenti per affrontare una crisi così profonda che lascerà degli strascichi importanti nelle nostre società. Oggi ne usciamo un po’ meglio attrezzati, con degli interventi che sono stati fatti tempestivamente, alcuni erano anche attesi da molto tempo, ma sono stati fatti con velocità. Nel Consiglio di giovedì è stata presa una decisione: aprire un “cantiere della ricostruzione” per dare una risposta comune, europea, all’emergenza. Questo è il passo in avanti; non era scontato. Adesso questo piano della ricostruzione dobbiamo fondarlo sulla solidarietà. Mi lasci dire però che credo che da questa crisi non si uscirà solo raddrizzando le questioni materiali; penso invece che usciremo da questa crisi se le questioni materiali si combineranno con una ripresa di valori, quei valori europei oggi indispensabili. Bene quindi l’apertura del cantiere e della discussione che si svilupperà cercando di far conciliare sensibilità, punti di vista, interessi. Ma la cosa importante, da sottolineare, è che abbiamo sentito da tutti i capi di governo il richiamo a un’uscita comune dalla crisi. Si esce insieme, altrimenti sarebbe declino per tutti; questo qualche settimana fa non era scontato.
Lei ha usato l’espressione della necessità di un “Piano Marshall” per la ripresa, finanziato direttamente dai Paesi dell’Unione. Si tratterebbe di una strategia che evidenzierebbe la forza dell’Unione Europa, ma soprattutto la sua capacità di essere coesa e solidale. Questo mi sembra un messaggio di cui si sente davvero il bisogno: la vicinanza e non la distanza. Dal ruolo che riveste, lei percepisce che c’è stato uno scatto, un cambiamento, che la dimensione sociale è entrata al centro della riflessione dell’Unione Europea?
R.: Sì, perché tutti, settimana dopo settimana, si sono resi conto della profondità della crisi. E quanto siano interdipendenti e connesse le economie dei singoli Stati. L’Europa si costruisce con le sue crisi, diceva Jean Monnet. È così. E ad ogni momento di difficoltà tutti capiscono che non puoi fare da solo, che nessuno è autosufficiente. L’avevamo detto sei settimane fa: o ne usciremo con un’Unione europea più attrezzata e robusta oppure non ne usciremo. Per fare questo adesso servirà rafforzare il livello istituzionale dell’Unione e renderlo capace di guidare la fase nuova. Dobbiamo combattere contro l’egoismo? Sì. Dobbiamo combattere contro una vecchia idea nazionalista che esiste in tutti i Paesi? Sì. Però, in questo momento sentiamo tutti la necessità che il mondo lo possiamo affrontare se le nostre istituzioni, il quadro democratico europeo sarà più robusto e in grado di assumere decisioni in tempi rapidi. Quindi non bastano solo soluzioni alla crisi in quanto tale; servono soluzioni al cambio di fase che questa crisi impone a tutti. Le faccio un esempio: noi non possiamo e non vogliamo rinunciare alle libertà e alla democrazia, però dobbiamo anche adeguarle, perché siano anche più capaci di rispondere tempestivamente. Abbiamo bisogno di sostenere un processo di uscita dalla crisi rivedendo il nostro modo di essere. Rafforzare l’Europa vuole dire anche cambiarla, adeguando gli strumenti con i quali siamo entrati nella tempesta. Credo che questo sia uno sforzo che riguarda Bruxelles, ma che riguarda tutte le capitali, tutti i Paesi; anche loro devono cambiare. Dobbiamo inoltre avere un’idea chiara nel medio e nel lungo periodo su dove vogliamo andare, cosa e come ricostruire. Vogliamo tornare a rimettere le lancette dell’orologio indietro o le vogliamo mettere al tempo giusto, in cui, con grandi difficoltà, la storia ci ha posizionato? Oggi l’orologio non può tornare indietro. In questo è quanto mai prezioso il forte richiamo che Papa Francesco ci sta rivolgendo, ha ragione e coglie il punto, perché la democrazia la rafforziamo se guarda alle persone, a ogni persona, agli interessi e alla necessità di ogni persona. Allora la sfida è quella di riallacciare, riscoprire una vocazione. Poi è vero, abbiamo un piano per la ricostruzione, un “piano Marshall”, che però a differenza del Secondo Dopoguerra, deve essere finanziato dagli europei e non verrà finanziato da altri; un piano che, ad esempio, dovrà dirci quanto cambiamento del nostro modello economico vogliamo, quanto vogliamo investire nelle ricostruzione sul green deal e l’Europa digitale… La pandemia ci ha posto davanti a una sfida, il cambio di fase, di passo, e questo ci deve vedere molto attenti e capaci di coglierne gli elementi di novità. Dobbiamo questo non solo alla tradizione e ai valori dell’Europa; dobbiamo questo anche alle persone che sono morte, alle persone che ci hanno lasciato, a questo dolore che il mondo sta provando. Dobbiamo uscirne proteggendo meglio le nostre società. La ricostruzione è fatta di tante cose, contiene tanti ingredienti.
Qualche giorno fa, intervistato da Vatican News, Andrea Riccardi ha detto che secondo lui la pandemia non rende più difficile, ma più facile l’azione condivisa, la coesione quindi di tutti per cercare di cambiare la situazione. Però lui stesso notava come l’Europa in passato e ancora forse oggi, stia tralasciando i temi umani, i temi del legame. Quella attenzione alle persone che con insistenza Papa Francesco ci ricorda è la risposta al vero problema della società europea, delle società occidentali, il problema della grande solitudine delle persone. Paradossalmente il coronavirus che ci condanna all’isolamento, ha svelato un fatto che però era già presente, questa grande solitudine. Non tocca alla politica rispondere, e come?
R.: Sono convinto che questa fase, anche così dolorosa, stia mettendo in risalto tanti elementi di umanità. Anche la politica quando esce dalle contrapposizioni, magari dà anche prova di questa umanità. Mi riferisco per esempio ad alcuni provvedimenti, a delle buone pratiche che in questo momento tanti governi europei, sia al nord che al sud, hanno adottato e che forse potrebbero essere utili e costituire degli esempi. In Portogallo è stata fatta una legge per dare un indirizzo fittizio ai senzatetto e ai migranti e poter consentire loro di accedere ai servizi sociali, sanitari. Credo che questo modo di affrontare la crisi, facendo leva sulle esperienze che le società civili stanno animando, sia molto importante perché una politica senza i cittadini vive nella torre di avorio e diventa burocrazia. Penso quindi che da questa stagione si uscirà rafforzando l’umanità che in questo momento in tutti i Paesi si sta manifestando, è una grande ricchezza e sarà anche il riscatto di questa stagione. Poi, non dobbiamo nemmeno cadere in visioni illuministiche, perché noi sappiamo che non basta immaginare il mondo nuovo, dobbiamo costruirlo. Questo lo dobbiamo fare passo per passo, battaglia dopo battaglia, sostenendo ogni passaggio con il consenso, perché la democrazia è consenso, trovare soluzioni per mezzo di decisioni condivise. Questo è il tempo per grandi riflessioni sul modo di essere della politica. Vorrei sottolineare però che stiamo vedendo delle cose straordinarie che fanno parte di una generosità degli uomini e delle donne che in questo momento stanno combattendo, che si rimboccano le maniche; pensate a tutte le associazioni che in questo momento sono mobilitate in Europa: che energia esprimono! Credo quindi che possiamo caricarci di speranza, rispetto alla fatica, al dolore di queste drammatiche vicende. Per noi questa è una necessità: caricare e ricaricare la speranza e lo possiamo fare solo se saremo accanto alle persone.
Quale ruolo può assumere l’Unione Europea nello scenario globale del dopo pandemia? Può diventare l’UE un modello da seguire?
R.: Deve diventare un modello, perché altrimenti non avrebbe alcuna funzione. Purtroppo nello spazio europeo ci sono dei virus oltre il Covid, che da sempre tormentano lo spirito europeo. Uno è certamente l’antisemitismo e l’altro è il nazionalismo, che sono le spinte che producono divisione, costruzione del nemico, odio, e in Europa anche guerre. Dobbiamo portare lo spazio europeo, che già lo è, ad essere ancora di più un punto di riferimento. Ma uno spazio di libertà non può vivere senza responsabilità e solidarietà. Credo che questa sia la vocazione dell’Europa che ci hanno consegnato i nostri padri in questi settant’anni, e su questo dobbiamo investire. L’Europa non può essere utile solo a se stessa, perché non avrebbe visione, non avrebbe orizzonti. Essa è utile agli europei certo, ai nostri paesi per stare al mondo altrimenti sarebbero marginalizzati, ma è anche utile al mondo per avere un punto di riferimento. Non vogliamo uscire da questa crisi con più autoritarismo e imperialismo ma con più democrazia e partecipazione.
In un’intervista di qualche mese fa all’Osservatore Romano, Massimo Cacciari usò questa espressione: «L’Europa è vecchia, decrepita. Ha bisogno di un fertilizzante e guardandomi in giro, lo dico da non credente, l’unico fertilizzante che vedo in circolazione è la Chiesa cattolica, i cattolici». Secondo lei la Chiesa cattolica, i cattolici, possono oggi avere questo ruolo per rigenerare non il Vecchio Continente, ma un continente vecchio?
R.: Sì, possono esserlo, però questo non deve costituire un alibi per chi non è cattolico, perché c’è il rischio di assegnare ai cattolici una responsabilità che deve essere di tutti. Si scarica sempre su altri e questo non va bene. Secondo la Lettera a Diogneto i cristiani vivono nella società, non al di fuori di essa. E anche gli altri devono vivere nella società e devono collaborare. Ognuno faccia la propria parte. In Europa ci sono tante sensibilità, tante culture e ognuno deve portare sulle spalle la propria parte di responsabilità. Certamente lo faranno i cattolici, i cristiani, però in questo momento credo che sia l’Europa nel suo insieme che deve avere le spalle larghe per assumere una funzione agli occhi del mondo. Per i cristiani credo venga naturale pensare che la vita degli altri, di quelli che sono fuori dal nostro spazio, sia uguale alla nostra, che debba avere gli stessi diritti. Questo è normale per i cristiani. Ecco perché credo che le parole di Papa Francesco stiano impressionando tutti e chiamando tutti alla responsabilità anche i non credenti.
La società ha bisogno sempre di essere rigenerata. Mi viene in mente la figura del Senatore Roberto Ruffilli, che il 16 aprile del 1988 fu barbaramente ucciso dai terroristi; viene da pensare che dal punto di vista cristiano per “fertilizzare” bisogna dare la vita, il seme che muore produce molto frutto. Ruffilli aveva dedicato tutta la vita a questo ideale di libertà e democrazia, il suo libro s’intitolava «Il cittadino come arbitro». Oggi anche la democrazia è in gioco in questa crisi dell’Europa?
R.: Sono stato molto amico di Roberto. La sua testimonianza è davvero un esempio. Quel titolo, «Il cittadino come arbitro», è molto attuale. Ci richiama a fare in modo che tutto quello che uscirà dalla crisi sia fatto per le persone, non solo per ricucire stappi all’interno di dinamiche di potere. Ecco perché da questa crisi dobbiamo uscirne rafforzando i processi democratici. Ma quanti oggi si stanno impegnando per dividere lo spazio europeo? E come mai c’è tanto impegno a dividerci, a renderci più deboli, a frammentarci, a riportarci ognuno nella sua piccola patria? Perché c’è questa dinamica che arriva forte da fuori dell’Europa e che scatena questa voglia di averci deboli? Eppure non abbiamo un esercito, non facciamo la guerra, non invadiamo Paesi … Credo che la risposta sia perché i valori e il diritto europeo siamo elementi di forte contraddizione in questo momento rispetto a dinamiche globali che vedono una ripresa dell’autoritarismo. Ecco perché ha fatto molto bene Papa Francesco a richiamare alla responsabilità gli europei, affinché in questo momento possano essere un punto di riferimento per riappropriarsi dei valori davvero importanti per l’uomo: il valore della vita, il valore dei diritti inalienabili delle persone, il diritto alla libertà; riferimenti per noi scontati, ma che ne mondo non lo sono.
Ha ragione quindi il cardinale del Lussemburgo Hollerich, che di recente su “La Civiltà Cattolica” ha detto: «L’Europa non può essere ricostruita senza un’idea di Europa senza ideali»
R.: Certamente. Ma noi gli ideali li abbiamo anche se facciamo troppa fatica ad esprimerli. Il problema è che spesso l’egoismo delle nazioni, un cattivo sentimento nazionalista, l’idea che io sia migliore dell’altro, impedisce di dispiegare le nostre potenzialità e manifestare la nostra identità. Credo che questa crisi possa essere l’occasione per liberarci di tante catene.