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Oxfam a sostegno dell’iniziativa ONU per un cessate il fuoco globale

da Vatican News – Stefano Leszczynski –

90 giorni è il termine prospettato da una bozza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per quella che viene definita una “pausa umanitaria”, allo scopo di permettere anche nelle aree di conflitto di fronteggiare la pandemia da coronavirus. I negoziati proseguono però a rilento e riguardano solo i Paesi i cui conflitti sono già al vaglio del Consiglio di Sicurezza, tra cui Siria, Yemen, Afghanistan, Mali, Centrafrica, Libia, Colombia e Sudan.

Un appello a fare presto giunge da 70 organizzazioni umanitarie sparse in tutto il mondo, che hanno lanciato una campagna per un cessate il fuoco globale a sostegno dell’iniziativa dell’ONU. Paolo Pezzati, policy advisor di Oxfam, confederazione internazionale di organizzazioni no profit, che si dedicano alla riduzione della povertà globale, attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo, sottolinea l’importanza di una tregua globale per affrontare l’emergenza da coronavirus. “La preoccupazione per le tragiche conseguenze della pandemia in aree di conflitto è molto alta. Le vittime del virus potrebbero essere milioni e, ciò che è ancora più grave, potremmo non saperlo mai, perché le condizioni di conflitto non permettono di monitorare l’evoluzione del contagio.”

La diffusione del Covid-19 rappresenta un’emergenza nell’emergenza in Yemen, dove la guerra è entrata ormai nel suo sesto anno e la situazione di crisi si fa sempre più intricata. Nel Paese è stato confermato un solo caso di infezione da coronavirus. “Una situazione inverosimile – sottolinea Pezzati – dovuta proprio alla carenza di strutture sanitarie e di strumenti di controllo. La popolazione yemenita è ridotta alla fame da molto tempo ormai, l’accesso all’acqua pulita è impossibile e di recente il Paese è stato teatro di uno dei più gravi focolai di colera mai registrati. E’ anche difficile capire se le persone muoiano per il coronavirus o per altre patologie. Basti pensare che in tutto lo Yemen erano disponibili sono 20 tamponi. Oltre la metà degli ospedali sono stati bombardati e i rimanenti operano con fortissime limitazioni strutturali e di organico.”

Non va certo meglio in altre aree di crisi anche del bacino del Mediterraneo. La Siria ne è certamente un esempio, ma anche in Palestina la situazione rischia di precipitare. “Il conflitto israelo-palestinese – spiega Pezzati – rischia di vanificare anche i piccoli germogli di pace generati dalla buona volontà della società civile, come quelli che hanno portato nelle settimane scorse alla  definizione di alcuni protocolli comuni per la prevenzione della diffusione del Covid-19.” Nei territori palestinesi occupati sono stati registrati circa 450 casi di contagio, ma anche qui poter eseguire test e tamponi non è così facile. A pesare sono le difficoltà di movimento e le carenze strutturali. “Per quanto riguarda Gaza, invece, la situazione pare abbastanza stabile, l’ultimo bollettino ci dice di 15 persone malate, ma qui il problema è che sono soltanto 70 i posti letto in terapia intensiva per più di 2 milioni di abitanti. Una situazione che va certamente monitorata con estrema attenzione.”

 

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Sara De Simplicio: