da Vatican News
di Roberta Gisotti – Radio Vaticana
Un saluto particolare a tutte le madri in occasione della Festa della mamma, celebrata in Italia e nel mondo. Lo ha rivolto Papa Francesco, nei saluti successivi al Regina Coeli, affidando tutte le mamme alla protezione di Maria, la “nostra Mamma celeste” e ricordando, soprattutto, quelle che oggi non ci sono più, chiedendo anche qualche secondo di silenzio, ognuno per pensare alla sua: “ Il pensiero va anche alle mamme che sono passate all’altra vita e ci accompagnano dal Cielo”.
Tante sono state le occasioni in cui Francesco ha dedicato alle mamme le sue parole e il suo pensiero. In particolare il Papa aveva rivolto la sua preghiera, lo scorso 17 aprile, per tutte le donne incinte che “sono inquiete, si preoccupano” e si domandano “in quale mondo vivrà mio figlio?”. Che “il Signore – ha invocato – dia loro il coraggio di portare avanti questi figli con la fiducia che sarà certamente un mondo diverso, ma sempre sarà un mondo che il Signore amerà tanto”.
La Festa della mamma, che in alcuni Paesi ricorre in date diverse, affonda le sue radici nella seconda metà del 1800, quando negli Stati Uniti, Julia Ward Howe, poetessa e pacifista, propose senza successo di istituire la Giornata della madre per la pace (Mother’s Day for Peace). Era il 1870. Fu poi Anna Jarvis a celebrare per la prima volta nel 1908 la Giornata della madre, dedicata a sua mamma Ann Reeves, anche lei attivista per la pace e amica della Howe. La ricorrenza iniziò poi a diffondersi finché nel 1914 il presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson istituì su delibera del Congresso la Festa nazionale della mamma, nella seconda domenica di maggio.
In Italia, la Festa della mamma è stata ufficializzata, solo nella seconda metà del ‘900, su proposta – nel dicembre 1958 – del senatore Raul Zaccari, dopo acceso dibattito al Senato; celebrata da allora l’8 maggio e poi spostata nel 2000 alla seconda domenica del mese, per permettere alle mamme di godere della giornata festiva insieme ai figli. Una ricorrenza laica tra le più popolari al mondo e che negli ultimi decenni è stata connotata da forti impulsi commerciali. Ne abbiamo parlato con Chiara Giaccardi, mamma e lavoratrice, ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.
La crisi della pandemia può ridare slancio allo spirito originale della Festa?
R. – Io credo senz’altro di sì, perché proprio in questo periodo abbiamo avuto modo di riscoprire, tutti – uomini e donne, grandi e piccoli – l’unicità del codice materno, il fatto che c’è una forma tipicamente umana di accoglienza, sollecitudine, accompagnamento, legame non contrattuale e non solubile ma soprattutto legame di reciprocità che è quello che in questi mesi, ormai, ci ha sostenuti. E io credo che sia stata una riscoperta preziosa anche per re-immaginare come vogliamo essere, chi vogliamo essere quando la situazione si sarà – non dico – normalizzata, ma un po’ modificata rispetto alle restrizioni che abbiamo conosciuto in questo tempo.
Pensando al periodo precedente l’emergenza: quanto conta la narrazione delle mamme nei media? Quanti stereotipi e luoghi comuni sono ancora da superare?
R. – Sicuramente moltissimi. Io ho avuto – non so se è capitato anche agli altri – veramente uno shock dal silenzio, dalle strade vuote, dalle poche persone che camminavano tenendosi a distanza. E poi alla ripresa, leggera, rivedere ancora macchine, sentire ancora rumore … Abbiamo rivisto la nostra vita di prima come qualcosa che in fondo aveva qualche tratto disumano. Io credo che le madri – ma anche i padri, perché il codice materno è anche un codice paterno, un codice di reciprocità – in questi giorni, in queste settimane hanno vissuto un altro modo di stare in famiglia, di occuparsi non soltanto di un aspetto, secondo una divisione rigida dei ruoli, ma del benessere di tutta la famiglia: fare da maestri, far da accompagnatori spirituali in qualche caso, fare da consiglieri, esserci, condividere tutti i momenti della giornata. Io credo che questo sia un patrimonio, un effetto collaterale positivo, in mezzo a tante sofferenze di questo tempo, che va preservato, perché ci ha messi di fronte un po’ all’assurdità di un modello di vita estremamente centrifugo che davamo per scontato e che non riuscivamo nemmeno più a vedere nei suoi caratteri un po’ parossistici, e che adesso abbiamo imparato a tenere un po’ a distanza e a vedere con un occhio più lucido e più umano.
Abbiamo visto negli ultimi decenni le mamme multi-ruolo, nel vortice di impegni in casa e al lavoro, ma anche coinvolte in una società multimediale a volte opprimente con uno Stato, in Italia, che non le aiuta.
R. – Questo è il problema che viene detto della conciliazione – io preferisco chiamarlo della armonizzazione – tra lavoro e famiglia. E’ una questione molto delicata che rischia di fare passi indietro dopo questa pandemia, perché se le scuole non riaprono o riapriranno a ritmi alternati, con restrizioni, il presupposto implicito è che le madri dovranno stare a casa a curare i bambini. Io credo che tra lavoro e famiglia non solo non ci debba essere contraddizione o conflittualità, ma che ci sia una potenziale sinergia. Naturalmente, se i tempi di lavoro sono umani, se la qualità del lavoro è umana, io credo che una donna che lavora possa essere una madre migliore, o comunque un’ottima madre, così come un’ottima lavoratrice, perché la maternità è qualcosa che allarga lo sguardo sul mondo, che rende più ricettivi, più capaci di mettersi nei panni dell’altro, più capaci di immaginare il futuro per le prossime generazioni, e questo nel mondo del lavoro serve, è necessario. Il contributo femminile è necessario nel mondo del lavoro, nel mondo della politica, nel mondo della cultura e questa è una conquista del nostro tempo che non dobbiamo assolutamente perdere. Il contributo femminile è fondamentale. Emmanuel Levinas diceva che la madre è la prima figura concreta dell’etica, perché è colei che è capace di portare l’altro. E questo è indispensabile, se vogliamo costruire un mondo umano. Non so se si sta andando in questa direzione: lo spero veramente.
La chiave di volta può essere avere una sinergia tra lavoro e casa che coinvolga anche i papà?
R. – Certamente io penso che questo tempo è stato anche un laboratorio di sperimentazione di nuove dinamiche familiari. Noi abbiamo implicitamente assunto un modello della frammentazione della separazione dei ruoli e della divisione del lavoro, modello – diciamo – fordista anche dentro la famiglia. Io credo che invece questo periodo in cui i ruoli si sono mescolati – in cui il tempo si è dilatato, in cui ciascuno ha svolto tante funzioni perché tanti papà hanno svolto anche i compiti domestici, la cucina e tutte le incombenze che di solito vengono rigorosamente consegnate alle mamme – sia proprio un laboratorio di novità di relazioni. E anche questa idea di una parte del lavoro, non di tutto il lavoro non di tutti i lavori, ma di una parte del lavoro svolto a casa, penso che sia una conquista di questi giorni molto importante: abbiamo capito che tanta della mobilità che davamo per scontata forse non è necessaria. In tanti casi è importante incontrarsi, in tanti casi basta anche una riunione via skype o via zoom o su qualunque altra piattaforma, soprattutto se sono riunioni operative o più tecniche Ecco quindi, imparare a modulare il nostro impegno lavorativo domestico, ad armonizzare i nostri ruoli, a non separare le funzioni perché la disgregazione poi ci arriva dentro e ci rende i disumani.
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